di Francesco Munafò – Sinistra Anticapitalista


Quando Marcuse scrisse Eros e Civiltà, uno dei suoi obiettivi era confutare l’idea di Freud per cui la civiltà di per sé fosse responsabile del sacrificio integrale del principio di piacere al principio di realtà, ovvero all’organizzazione della vita sociale e produttiva mediante il lavoro, che richiede l’investimento di una parte considerevole di energia altrimenti spendibile in occupazioni di piacere (come ad esempio il sesso, uno dei maggiori campi d’interesse della psicanalisi). Secondo Marcuse, infatti, “i vari modi di dominio (dell’uomo e della natura) portano a varie forme storiche del principio di realtà1. In altre parole, non tutte le forme storiche, passate, presenti e future della civiltà portano a una repressione del principio di piacere univoca e non differenziata. L’operazione di Marcuse è definibile come storicizzazione, la quale a sua volta potrebbe rientrare in un’ipotetica classe di operazioni, definibile come differenziazione. Differenziare, infatti, significa ripensare come contingente ciò che appare necessario. Storicizzare significa servirsi della storia per compiere questa operazione. Leibniz scriveva che qualcosa è necessario se il suo contrario è impossibile, mentre qualcosa è contingente se il suo contrario è possibile. Differenziando i diversi momenti storici del principio di realtà, Marcuse ne assume svariati, diversi fra loro se non addirittura vicendevolmente contraddittori: ci sono molteplici configurazioni che la civiltà assume, e ognuna porta con sé un insieme di propri portati repressivi. Questi ultimi possono essere ingenti, come avviene nella società capitalistica, in cui la repressione del piacere è dovuta a una precisa organizzazione del lavoro in cui l’equilibrio tra lavoro e piacere è tutto sbilanciato in favore del primo, meno gravosi, come avviene in alcune non meglio specificate “società matriarcali”, o pressoché assenti, come avverrà nel futuro paradiso comunista vaticinato da Marcuse. Così, quella che pareva imporsi come repressione necessaria diventa possibile, e, anzi, il suo imporsi come necessaria viene derubricato a ideologia, a falsa coscienza. 

Così facendo, Marcuse apre le porte alla liberazione del principio di piacere in una società collocata nell’utopia. La storicizzazione, infatti, evidenziando la contingenza di fenomeni che sembrano imporsi come necessari, li rende trasformabili e apre le porte al possibile. E’ il presupposto teoretico di ogni rivoluzione.
Questa stessa operazione logica viene presentata anche da Daniel Tanuro, quando scrive che “la sinistra […] deve tenere conto della crisi sanitaria in sé e sviluppare delle proposte per contrastarla in un’ottica sociale, democratica, antirazzista, femminista e internazionalista” 2. E da questa prospettiva è importante partire: la gestione della pandemia attuata dal governo Conte II non è l’unica possibile.
La necessità di chiarirlo, o quantomeno di provarci, mi pare emergere con forza da ragioni “militanti”: larga parte dell’opinione pubblica di sinistra, infatti, si è ritrovata a difendere la sacralità delle istituzioni repubblicane, in questo caso dell’operato del governo Conte, e dei loro giusti e misurati interventi repressivi per opporsi alla retorica antistituzionale e antisistema dei populisti di destra, che nelle voci di Salvini e Meloni hanno dato vita a un susseguirsi di critiche serrate alla gestione della pandemia da parte di Conte. Così facendo, questa fetta di sinistra, a dire il vero sempre più egemonica, ha riconfermato che la sua istituzionalizzazione ha prodotto come effetto la torsione dello sguardo, semmai questo fosse stato presente, dai problemi della classe lavoratrice. Agli interessi della classe lavoratrice e alla loro sistematizzazione in una prospettiva rivouzionaria vengono da essi preferiti i valori illuministi e liberali della democrazia rappresentativa e della Costituzione Italiana, pensate come unico orizzonte di senso entro il quale collocare in veste riformista lotte come quella femminista o quella ecologista, la cui salute viene misurata in termini di conquista di diritti civili e di leggi a carattere progressivo. Queste ultime, al posto di essere concepite come parte di un insieme di misure di transizione integrate nella dialettica rivoluzionaria, vengono pensate come dei non plus ultra.
Così, Sergio Mattarella come simbolo dell’unità della Repubblica diventa il punto di riferimento ideologico di queste fasce della sinistra, mentre ampi settori della classe lavoratrice vengono attratti dalla destra post-fascista.
Ma torniamo alla questione della pandemia e della gestione delle sue conseguenze, che chiama in causa una risposta che va costruita ripensando continuamente le nostre strategie egemoniche e i nostri modi di leggere la realtà e di rapportarci alla classe lavoratrice e alle sue contraddizioni.

Un romanzo giallo permanente: a caccia dei colpevoli

Quando il contagio ha iniziato a diffondersi per tutta la penisola, sono state vaticinate e poi messe in atto alcune misure di isolamento, sempre più restrittive col passare del tempo. Intanto, alcuni episodi sono saliti agli onori della cronaca, costituendo al contempo delle anticipazioni e dei sintomi. Delle anticipazioni, perché il modo in cui l’opinione pubblica ha reagito sarebbe stato replicato più volte nel corso dei mesi successivi. Dei sintomi, perché, siccome il pensiero si dà sempre dentro alcune coordinate egemoniche, ogni atto pubblico di pensiero, e cioè ogni atto linguistico, le porta allo scoperto. Uno dei più eclatanti: la fuga dei fuorisede e delle fuorisede dalle città del nord in vista dell’incipiente isolamento, in direzione dei luoghi di origine al centro o al sud 3. Era l’8 marzo. Sui social network impazzavano delle condanne che fornivano l’ennesima prova (sintomatica, per l’appunto) della totale lacerazione della solidarietà di classe tra i lavoratori e le lavoratrici.
A essere radicata nel senso comune, infatti, è l’idea per cui esistono i singoli con le proprie azioni, le quali si svolgono in un contesto valutabile con assunti morali assoluti, che non tengono in conto del contesto in cui alcune azioni vengono effettuate o delle cause socioeconomiche o egemoniche per cui un fatto si presenta in un certo modo. Per chiarirci, è lo stesso meccanismo che porta alla colpevolizzazione di chi “vive di assistenzialismo” e “non vuole lavorare”, o di chi “non sa gestire i propri risparmi e viene mantenuto da chi paga le tasse” senza che vengano poi prese in considerazione le cause radicali di una cattiva gestione dei soldi pubblici, come, ad esempio, le spese militari, a cui il governo non rinuncia neanche in situazioni di emergenza 4. Così, chi si guadagna piccole somme di denaro in nero o chi riceve aiuti economici dallo Stato viene spesso categorizzato come soggetto astratto che compie cattive azioni, o nei casi di una maggiore rielaborazione, delle azioni antisociali. Inutile precisare la fertilità di un terreno di questo tipo per le destre liberiste, che finiscono per giustificare le proprie proposte di tagli radicali al welfare con la convinzione che così chi prima viveva di assistenzialismo si darà da fare (leggi come: si butterà in un mercato del lavoro con sempre minori tutele e diritti sindacali). La morfologia di quest’operazione mentale rimane sostanzialmente la stessa quando assistiamo alla colpevolizzazione dei runner o alle invettive contro gli immigrati, e lo sbocco naturale rimane il medesimo: una lotta intestina alla classe operaia e di questa contro il sottoproletariato.

La risposta delle classi dominanti: repressione e ideologia

Il breve intermezzo è servito a introdurre una questione centrale: ci sono almeno due modi per leggere e risolvere i problemi che la società pone. Uno è sintomatico, e prevede una risoluzione partendo dagli effetti e molto spesso fermandosi a essi. L’altro è causale, o, se vogliamo, radicale: prevede la risoluzione dei problemi partendo dalle loro cause reali o, in alternativa, dalle cause che generano effetti più consistenti. Inutile dire che il trattamento sintomatico pare essere il prediletto dalle classi dominanti e dai loro rappresentanti che siedono sugli scranni dei Comuni o delle Regioni: colpevolizzazione, con annessa multa, dei runners, poi di “quelli che non possono fare a meno di uscire di casa”, fino ad arrivare ai giovani che escono la sera affollando i bar nelle piazze principali delle città. Questo perché è più facile colpevolizzare e agire contro i singoli, come ho accennato prima: gli individui non generano profitto, al contrario delle grandi aziende, e la loro colpevolizzazione è costless! Così alle invettive securitarie promanate da De Luca, Sala o Cirio si affiancavano eloquentemente i servizi di Report che evidenziavano alcune fra le succitate cause sistemiche, o radicali, della diffusione del contagio: l’opposizione di Confindustria alla dichiarazione della zona rossa in Val Seriana 5, la cattiva gestione dell’emergenza sanitaria in Piemonte 6, etc. Intanto, il raggiungimento del posto di lavoro figurava tra i motivi che più di tutti hanno fatto uscire di casa le persone. Al 29/03, se il trend che descriveva le uscite ricreative era diminuito del 94% (-78% al 2/05), quello che descriveva le uscite per recarsi sul posto di lavoro era diminuito solo del 63% (-52% al 2/05)7. L’ “allarme-irresponsabilità” veniva quindi smentito dai dati, che ribadivano che tra i motivi principali per cui venivano effettuati gli spostamenti c’era il raggiungimento del posto di lavoro, dove uomini e donne erano chiamate/i a generare profitto per i grandi capitalisti. Viene riconfermato un fatto evidente: il capitalismo antepone il profitto alla vita. La scelta del Governo di mandare al lavoro migliaia di lavoratori e lavoratrici ha infatti scatenato decine di scioperi su tutto il territorio nazionale, alcuni con carattere di spontaneità.
Intanto anche altri apparati statali si organizzavano per reagire all’epidemia. Gli apparati ideologici di Stato, con la televisione in testa, si organizzavano per assicurare la coesione popolare usando il dispositivo interclassista della nazione 8 oppure attuavano vere e proprie operazioni di distrazione, contribuendo a diffondere quella lettura sintomatica del contrasto al contagio di cui ho parlato sopra, e fornendo un ottimo esempio di costruzione dell’egemonia. Nello stesso momento, le FdO venivano impiegate nelle strade non solo per fare le multe, ma anche per contenere con misure e modi autoritari episodi di disordine urbano. Eloquente è l’esempio di Torino, dove a distanza di poco tempo si sono verificati due gravi episodi in cui le FdO sono intervenute massivamente facendo un uso della forza non proporzionale alla situazione. Il primo episodio, avvenuto nel quartiere Falchera, dove un uomo è entrato in una farmacia e, armato di coltello, ha minacciato i farmacisti per farsi consegnare l’incasso e dei beni. Sul posto sono accorse addirittura 12 volanti della polizia, che hanno separato i protagonisti del parapiglia che vedeva coinvolti anche i familiari del rapinatore. Oltre al fatto che questo episodio rivela il disagio sociale presente nel quartiere dell’estrema periferia nord di Torino, è da considerare che il numero delle volanti accorse è indicativo di uno stato di militarizzazione paranoica in cui alcuni quartieri periferici della città versano. Poliziotti e militari vengono usati per reagire a situazioni di microcriminalità e piccole infrazioni che si verificano in periferia, come piccoli furti, risse, abbandono di bottiglie di vetro per strada. Le vittime sono sempre, ovviamente, sottoproletari/e, spesso stranieri/e. Talvolta, invece, l’obiettivo a lungo termine di questo modus operandi è far aumentare il valore delle abitazioni e del territorio, attraverso un’estetica della pulizia che contrasti il degrado, e permettere, così, processi di gentrificazione. Tutto ciò accade da anni in zona Aurora, sempre a Torino, dove si è verificato il secondo episodio di reazione violenta delle FdO: a causa di un piccolo furto un giovane è stato immobilizzato violentemente, scatenando così l’ira dei residenti e degli anarchici che abitavano nelle vicinanze, che si sono riversati in strada.
A questo proposito, può tornare utile di nuovo Althusser: “E’ un fatto che per conto suo l’apparato (repressivo) di Stato nel suo funzionamento ha un massiccio contenuto prevalentemente repressivo (compresa la repressione fisica), e in via secondaria un contenuto ideologico (Non esiste un apparato puramente repressivo). Esempi: l’esercito e la polizia funzionano anche ideologicamente, per assicurare allo stesso tempo la propria coesione e la propria riproduzione, e con i valori che essi propongono al di fuori” 9. Infatti, la colpevolizzazione del singolo individuo in condizioni di povertà che compie piccoli furti non sfocia soltanto nelle azioni repressive da parte di Polizia e Carabinieri, ma anche e soprattutto sul piano dell’ideologia, diffondendo tra la cittadinanza un’idea securitaria e classista della gestione degli spazi urbani.

L’altra risposta: un’opzione di classe

L’alternativa c’è, e proverò a riassumere tre tra le tante proposte che si sono avvicendate nell’ambito della sinistra di classe, in quanto mi paiono tre questioni centrali. La prima è una misura di transizione e “di emergenza”, mentre le altre due riassumono alcuni aspetti della proposta socialista, femminista e anticapitalista di gestione dei momenti della produzione e della riproduzione sociale:

1) Istituzione di una imposta patrimoniale: questo permetterebbe di finanziare piani di assistenza sociale senza aumentare il debito pubblico 10. Al momento, infatti, i fondi destinati da Conte al sostegno di chi è rimasto senza lavoro, così come i fondi destinati alle partite IVA sono stati finanziati in deficit. Questo significa che, a epidemia conclusa, le conseguenze verranno pagate dalla classe operaia a cui verranno imposte pesanti misure di austerità con l’obiettivo di far rientrare il debito. L’istituzione di una imposta patrimoniale, al contrario, permetterebbe di ottenere i fondi per la sanità e per la scuola, per le misure di sostegno di chi è rimasto senza lavoro a causa della pandemia, etc.

2) Ripubblicizzazione del SSN e di tutti gli apparati di cura e di riproduzione sociale: un servizio di Report ha evidenziato gli effetti devastanti dell’egemonia della sanità privata in Lombardia sulla gestione dell’emergenza coronavirus e non solo 11. E’ ora di buttare i privati fuori dalla sanità e di ripensarla come pubblica, efficiente e universale, oltre che rispettosa dei diritti delle lavoratrici (il lavoro di riproduzione sociale è svolto per la maggior parte dalle donne) e dei lavoratori che ci operano. Lo stesso discorso vale per le RSA, gestite prevalentemente da privati e che si sono dimostrate incapaci di resistere al contagio. In generale, la riproduzione sociale deve cessare di essere cannibalizzata dai privati o, alla peggio, ignorata in quanto non genera profitto 12.

3) Controllo operaio della produzione e pianificazione democratica: se la situazione della riproduzione sociale è drammatica, quella della produzione non ha nulla da invidiarle: lasciare l’economia in balia dei ritmi del mercato ha generato danni ingenti dovuti al fatto che quando questo viene sottoposto a momenti di stress non può non dare adito a gravi crisi economiche, le quali sono ammortizzabili in recessioni solo con l’aiuto dello Stato, grazie al quale i capitalisti socializzano le perdite e privatizzano i profitti. Quest’ultimo fatto è indicativo della natura di classe dello Stato liberale, che nonostante possegga un’autonomia relativa da una precisa sezione del capitale (il contrario sembra invece essere proposto dai complottisti, i quali pensano alle istituzioni come vittime di pochi grandi gruppi di capitalisti) opera con l’obiettivo di salvarlo nella sua totalità. L’alternativa sta in un’economia pianificata democraticamente, la cui necessaria centralizzazione non si scontra con la possibilità di autogestione locale della produzione, la quale è altrettanto indispensabile al fine di un’armonizzazione della produzione con i bisogni reali di una comunità 13.

Come è evidente, le tre proposte esposte non sono soltanto concepite come risposte socialiste alla pandemia, ma riflettono la volontà di ripensare la totalità sociale secondo un progetto marxista rivoluzionario che anteponga la vita al profitto dei padroni. La pandemia ha offerto alla sinistra rivoluzionaria l’opportunità di dimostrare la validità delle proprie proposte: non la si deve sprecare.

Note

1 H. MARCUSE, Eros e Civiltà, Giulio Einaudi Editore, 2001, p. 81 [corsivo mio]
2 D. TANURO, Pandemia – Otto tesi sul Covid-19, https://anticapitalista.org/2020/03/12/pandemia-otto-tesi-sul-covid-19/
3 The Post Internazionale, 8 marzo 2020, https://www.tpi.it/cronaca/coronavirus-stazione-milano-fuga-lombardia-chiusa-20200308561480/
4 F35 produzione essenziale? La vergogna del decreto. https://anticapitalista.org/2020/03/24/f35-produzione-essenziale-la-vergogna-del-decreto/
5
https://www.raiplay.it/video/2020/04/La-zona-grigia—Report-06042020-11fedfa3-c14f-478f-ad68-04949bf994a4.html
6 https://www.rai.it/programmi/report/inchieste/Il-pasticcio-piemontese-413ec5db-57e7-4822-8fe0-db45887a0b92.html
7 https://www.google.com/covid19/mobility/
8 https://www.youtube.com/watch?v=848kapapk8I, cioè uno spot promosso da Barilla e che riprende il tema della nazione. Questo testimonia il ruolo delle aziende italiane nella definizione di un’identità nazionale, con conseguenze ideologiche quali l’etica del comprare italiano.
9 L. ALTHUSSER, Ideologia ed apparati ideologici di Stato, in Scuola, potere e ideologia, il Mulino, 1972, p. 27
10 Una misura più radicale, a dire il vero, prevede il rifiuto del debito pubblico. Abbiamo pubblicato un articolo di Giulio Palermo in cui ne se parla: https://www.redongreen.it/2020/05/21/default-totale/
11 https://www.rai.it/programmi/report/inchieste/Laffaire-Covid-144aca83-96ae-4c02-9f7a-b2bad25705cb.html
12 MARXIST FEMINIST COLLECTIVE, Sette tesi su riproduzione sociale e pandemia, https://jacobinitalia.it/sette-tesi-su-riproduzione-sociale-e-pandemia/
13 Pianificazione democratica unica via. Una conversazione con Cédric Durand, (https://anticapitalista.org/2020/05/11/pianificazione-democratica-unica-via-una-conversazione-con-cedric-durand/) dove peraltro l’autore si focalizza anche sul rapporto tra pianificazione centralizzata e policentrismo: “Bisogna ugualmente tenere presente che se pianificazione fa rima con centralizzazione essa deve anche sapersi adattare a forme di policentrismo: di fronte agli stessi problemi e agli stessi obiettivi, i territori dovranno poter sperimentare soluzioni diversificate. In Francia, il nucleare è un controesempio perfetto: lo sviluppo pianificato di questa industria ha condotto a una forma pericolosa di monocultura. La pianificazione nel XXI secolo consisterà dunque nell’apertura di un ecosistema dove le istituzioni permettano, attraverso la deliberazione, di decidere le priorità economiche, e proteggano differenti modi di produzione e di consumo.”

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