#1. Modello Produttivo
Sia la pandemia che la complessa crisi ecologica e climatica mostrano quanto sia
urgente intraprendere un percorso di transizione verso il cambiamento radicale del
modello estrattivo/produttivo oggi dominante. L’attività antropica sta causando pesanti
perturbazioni climatiche e di squilibrio negli ecosistemi, la sesta estinzione di massa in
corso sta innescando gravi perdite di biodiversità e crescenti flussi di migranti
ambientali.
L’ultima relazione dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) avverte in
modo inequivocabile che “senza trasformazione della società e rapida
attuazione di ambiziose misure di riduzione dei gas a effetto serra, i percorsi per limitare il
riscaldamento a 1,5° C e raggiungere uno sviluppo sostenibile saranno estremamente
difficili, se non addirittura impossibili da percorrere”.


L’approfondimento delle disuguaglianze, la repressione della democrazia, il lavoro
precario e lo sfruttamento, la violenza razziale e di genere, il nazionalismo e le guerre
senza fine, costituiscono il terreno su cui peserà maggiormente la destabilizzazione del
clima. Le classi sociali più vulnerabili della società saranno le più colpite e ovunque nel
mondo ne soffriranno in misura maggiore.

Focalizzando sulla situazione italiana il combinato di crisi economica e crisi ambientale è
un segnale chiaro dell’urgenza di una svolta che deve coincidere con una radicale
conversione ecologica del tessuto produttivo, del modo in cui si produce e del modo in
cui consumiamo, a favore di un’economia in grado di produrre (meno) beni e (più)
servizi con modalità che rispettino l’ambiente e la salute.

Gli elementi necessari a questa transizione sono il passaggio dal gigantismo delle
strutture proprie dell’economia fossile alla diffusione, differenziazione e
interconnessione delle attività produttive e alla diminuzione dell’orario di lavoro. Tale
modello ridurrebbe al contempo le disuguaglianze economiche e sarebbe a maggiore
densità di lavoro rispetto a quello attuale, creando occupazione degna e di qualità.


Per questo è necessario organizzare la produzione secondo un piano gestito
democraticamente dalla collettività, in modo da limitare la quantità di energia prodotta
a quella realmente necessaria all’ordinario, garantendo i picchi di consumo per lo
straordinario e anche per orientare le scelte di consumo in un’ottica di soddisfazione dei
bisogni di tutti e tutte, in accordo con le leggi di riproduzione dell’ecosistema nel suo
complesso.

Affinché tale cambiamento sia possibile è necessario agire in queste direzioni:

● Mobilitare i settori dell’economia ad alta intensità di carbonio per eliminare le emissioni di
gas serra alla fonte e aumentare i processi che assorbono e rimuovono in modo sicuro e
naturale l’eccesso di carbonio dall’atmosfera, non come “compensazioni” basate sul
mercato per le emissioni in corso ma per iniziare a ripristinare un clima sicuro per tutti.

● Sopprimere i settori inutili dell’economia (industria bellica ed estrazione di combustibili
fossili, quest’ultima implicata direttamente nella crisi climatica) e ristrutturare radicalmente
l’industria metalmeccanica, dell’automobile, dell’acciaio, della chimica e della produzione
agricola, mirando ad un utilizzo ecosostenibile dei territori.


● Rendere pubblica la proprietà delle grandi aziende di produzione energetica, delle banche e
delle istituzioni monetarie e finanziarie, al fine di sostenere un piano di investimenti
pubblici per la riconversione ecologica dell’economia finalizzata alla produzione e al
consumo di beni e servizi che rispettino e migliorino la qualità dell’ambiente e della salute
umana e delle altre specie animali.

● Promuovere il riavvicinamento sia fisico (“Km0”) sia organizzativo, tra produzione e
consumo, grazie ai rapporti diretti tra lavoratori, cittadinanza attiva, e governi del territorio
che devono avere il controllo congiunto dei servizi pubblici e partecipare alla definizione
delle risorse a sostegno della conversione ecologica.

● Sottrarre ai vincoli del patto di stabilità gli investimenti destinati al welfare municipale e alle
conversioni produttive e ridurre il debito pregresso nell’ambito dei servizi locali in misura
sufficiente a non essere di ostacolo a questi processi.


● Promuovere l’economia circolare prevedendo distretti produttivi simbiotici e rendendo
obbligatorio l’uso razionale e il riuso delle materie prime (vedi #6. Gestione dei Rifiuti);
● Ridurre l’orario e il tempo di lavoro, e sostenere la conversione lavorativa attraverso la
riqualificazione professionale e la formazione dei lavoratori affinché possano usufruire delle
nuove opportunità date dai settori industriale, edile, artistico e dei servizi che usano
soluzioni e tecniche di produzione ecosostenibili.

● Riconvertire tutti i lavoratori e le lavoratrici colpiti dalla soppressione o ristrutturazione
delle attività produttive non ecosostenibili verso produzioni nuove e alternative per il
benessere collettivo e degli ecosistemi, facendo interagire i saperi degli antichi mestieri con
quelli della moderna scienza, condividendo lavoro e conoscenze per finalità socialmente ed
ecologicamente utili. Varare politiche di inclusione sociale, favorendo l’inserimento di
categorie vulnerabili e soggetti in condizioni di difficoltà e di svantaggio.


● Introduzione di un reddito universale incondizionato per ogni persona, come strumento
fondamentale di un nuovo modello di welfare inclusivo, per sconfiggere la povertà e
garantire una nuova forma di libertà dalla necessità di avere un lavoro per vivere.

● Prevedere azioni di controllo contro politiche di greenwashing, riferibili alle aziende,
organizzazioni e istituzioni politiche che spesso costruiscono un’immagine di sé
ingannevolmente verde danneggiando consumatori, aziende e ambiente.

● Sostenere la produzione di beni pubblici, l’economia basata sulla condivisione, la
cooperazione, l’open source, l’accesso e l’efficienza di scala qualitativa e non quantitativa.

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