Viene di seguito riportato un estratto dei punti salienti affrontati durante il dibattito “UN Climate Talks (COP) – Stay or Leave?”

a cura di Danilo Gullotto

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Con Asad Rehman e Alice Gato

Domenica 26 maggio 2024, 15:00 CET

Organizzato dalla Global Ecosocialist Network

 

Apre il discorso la moderatrice Julia Camara: si dibatte sugli aspetti controversi della COP28, sull’aumento delle temperature e sui problemi ambientali, anche sullo sfondo del problema dell’aumento delle spese militari per gli armamenti.

Viene prima data la parola ad Asad Rehman. Rehman è Direttore Esecutivo di War on Want, un’organizzazione contro la povertà e gli abusi dei diritti umani.

Per Rehman la principale domanda è come costruire il potere, sullo sfondo di una crisi globale che richiede soluzioni globali, che però deve coinvolgere ogni singolo livello territoriale, da quello locale a quello nazionale, fino a quello mondiale. Rehman riconosce che la crisi non è solo climatica, ma è intersezionale, e riguarda il capitalismo in tutti i suoi diversi aspetti. Riconosce anche che l’adozione di semplici strategie di difesa e di resilienza non sono sufficienti per vincere questa battaglia. La COP ha risposto in modo molto differente a queste necessità. Rehman si chiede legittimamente perché non si è avuto successo nella trasformazione sociale. Per alcuni governi progressisti, dalla Bolivia alla Colombia e anche il Brasile, il problema non è la volontà di affrontare i problemi climatici, ma se hanno le risorse per farlo e come possono emanciparsi dalla dipendenza del Nord globale. Rehman sottolinea anche il pericolo del negazionismo climatico, dei populismi, come anche dei poteri socialdemocratici che non si dimostrano capaci di fronteggiare in modo concreto la minaccia climatica. Fa notare come malgrado vi siano 30 mila attivisti provenienti da organizzazioni della società civile, solo una minoranza di essi si batte per coniugare il problema del clima con la giustizia sociale e ciò è quanto i Paesi ricchi vogliono esattamente: questi Paesi odiano il fatto che nella COP siano rappresentate tutte le nazioni del mondo, che ci sia spazio per la società civile, che si supporti la negoziazione e il sostegno ai Paesi in via di sviluppo. Secondo Rehman, la COP può quindi essere un’occasione per farsi sentire, suscitando l’attenzione dei media ed incalzando i Paesi ricchi. Quindi, sebbene gruppi di attivisti si battano fuori dallo spazio della COP, la vera domanda è come usare questo spazio per far valere le proprie istanze, malgrado le restrizioni che vengono imposte dall’evento stesso. Sul problema circa il fatto che sia stato legittimo organizzar

e la COP a Dubai, Rehman fa presente che la scelta di altri Paesi come Brasile, Polonia o Germania sarebbe stata altrettanto contraddittoria, date le loro politiche di espansione basate sul consumo di energie fossili. Bisogna prendere atto delle reali difficoltà e chiedersi come legare tra loro i movimenti per accrescere il proprio potere.

Viene di seguito data la parola ad Alice Gato. Gato è un’attivista dell’organizzazione portoghese Climáximo e ha organizzato la “Conferenza di solidarietà per la Terra” per boicottare la COP28. 

Gato riprende le riflessioni di Rehman su come ricostruire il potere delle organizzazioni, e si interroga sulla direzione verso cui ricostruire questo potere. Secondo l’attivista stiamo entrando in un territorio inesplorato di rottura climatica e sociale in cui la crisi è provocata dal Capitalismo e dal consumo delle commodities. Il Capitalismo non risolverà questa crisi. Da un lato ci sono attivisti che si concentrano solo sull’aspetto del clima, mentre le realtà di sinistra si concentrano solo sull’aspetto della giustizia sociale, asserendo che non vi sono ancora le condizioni materiali per operare una trasformazione nella società, dimenticando le basi materiali che hanno provocato la crisi climatica. Bisogna pertanto unire le due forme di protesta, climatica e di giustizia sociale, al fine di ricostituire questo potere, perché altrimenti sarà impossibile mitigare il problema climatico e adattarci in un contesto vivibile. Dal momento che la COP non ha intenzione di mettere in discussione il capitalismo, ecco perché dopo 28 COP ci troviamo ancora in una situazione di emergenza climatica. Pertanto, Gato considera la COP come una conferenza criminale che mira allo sfruttamento delle popolazioni e dei territori secondo un progetto neocoloniale “dipinto di verde”, illudendo la gente che i partecipanti della COP abbiano a cuore il problema del cambiamento climatico. Quindi la strategia da adottare è quella di spingere la gente a diffidare dei governi e delle multinazionali e implementare strategie dal basso. Inoltre, bisogna cercare di boicottare e delegittimare le COP, per evitare che, attraverso di essa, il capitalismo mantenga il suo status quo. La risposta deve quindi arrivare dalla popolazione civile, in modo responsabile, senza lasciarsi illudere dalla millantate soluzioni presentate dai membri della COP. Nel 2020, 200 gruppi di attivisti si sono uniti e hanno proposto a livello internazionale azioni per tagliare le emissioni. L’anno scorso è stata organizzata l

a “Conferenza sociale della Terra” in cui hanno partecipato circa 100 organizzazioni in Colombia, consci che non si può riporre la fiducia in una risposta da parte dei governi e delle corporazioni per risolvere questa crisi. Da questo evento è nata la proposta di far nascere un coordinamento internazionale. Tuttavia, anche queste iniziative appaiono insufficienti, sebbene bisogni continuare con le opere di boicottaggio e delegittimazione della COP e rafforzare le organizzazioni che si battono per il clima.

Fa seguito la replica di Rehman all’intervento di Alice Gato.

Rehman conviene con Gato sul fatto che la crisi è strutturale e di sistema e che non dovrebbe richiedere solo gli interventi per abbattere le emissioni di carbonio, ma deve passare per la difesa della giustizia sociale. Il problema è che siamo distratti da quanto accade nelle due settimane in cui si tiene la COP, ma nelle restanti 50 settimana non ci chiediamo del perché non abbiamo successo a livello locale e nazionale. La critica da sollevare non è solo verso la COP, ma verso noi stessi, circa il fatto che in 120 anni di lotte non siamo riusciti ad abbattere il capitalismo, subendo sconfitte su diversi fronti che riguardano i lavoratori e gli sfruttati. Il problema da affrontare non è solo climatico, ma è anche quello delle diseguaglianze, delle risorse limitate del pianeta, e del razzismo intrinseco al capitalismo. Riguardo alle soluzioni che si possono proporre, Rehman ribadisce la necessità di organizzare la lotta sia a livello nazionale che globale. Bisogna chiederci del perché queste organizzazioni che si battono per l’agenda climatica e rimangono deboli. Il problema non è tanto quello di chiedersi se sia necessario continuare o meno il boicottaggio. Non bisogna quindi sprecare il proprio tempo e le proprie risorse, ma bisogna lavorare per costruire “il movimento dei movimenti” a livello globale, capace di collegare tra loro i movimenti per la difesa dei lavoratori, la giustizia sociale, l’antirazzismo e la lotta per la salvaguardia del clima, passando anche per la difesa dei popoli oppressi dalla guerre, come i palestinesi. Bisogna far valere le proteste di questi movimenti anche all’interno di eventi come la COP. Rehman riconosce che il movimento dei lavoratori non ha ancora una risposta per contrastare queste minacce. Bisogna quindi raddoppiare i propri sforzi e interrogarsi con più profondità sulle ragioni del fallimento e della propria debolezza strutturale.

 

Fa seguito la replica finale di Gato.

Gato è d’accordo sul fatto che i movimenti hanno fallito nei loro propositi, che risentono di debolezze strutturali e che i dibattiti sulle COP non rappresentano la priorità principale per affrontare la crisi in atto e rafforzare il proprio potere nei 5 anni che abbiamo davanti. Tuttavia, sebbene il dibattito sia formalmente incentrato sulla COP, Gato fa un discorso che non riguarda precipuamente le strategie da adottare nei confronti dell’evento, ma più in generale guarda all’opinione pubblica, la quale considera ancora i governi e le multinazionali come i soggetti che possono dare una risposta alla crisi climatica. Questi soggetti, invece, non sono rappresentativi della volontà popolare e non possono pertanto risolvere questa crisi. Affidarsi a loro, sarebbe come pretendere che un guerrafondaio fermi la guerra o un dittatore introduca la democrazia. E’ impossibile cambiare i risultati della negoziazione in questo modo, a prescindere dal fatto che si usi o meno la COP. Bisogna mostrare che la COP non è in grado di risolvere questa crisi. La domanda da porci è di tipo strategico: bisogna chiederci come possiamo sfruttare l’attenzione dei media, dal momento che la risposta alla crisi climatica deve necessariamente provenire dai movimenti.

 

​​Domande e risposte

 

Domanda per entrambi: cosa ne pensate dell’idea di provare a creare un trattato di non-proliferazione per i combustibili fossili, in parallelo oppure in opposizione alla COP?

Secondo Rehman, l’idea di un trattato di non-proliferazione è interessante. Ovviamente si trova d’accordo nel ridurre la dipendenza dal petrolio. Con un simile trattato si potrebbe influenzare anche la COP. Rehman diverge su un punto rispetto a Gato per quanto riguarda la COP: naturalmente si comprende il bisogno di una strategia difensiva, ma se i governi che presiedono alla COP non rappresentano i cittadini e i movimenti, ciò è dovuto al fatto che a livello nazionale questi movimenti non sono stati capaci di portare le loro istanze all’interno dei governi.

 

Secondo Gato, un trattato di non proliferazione sarebbe un esperimento interessante. Il capitalismo ha bisogno di sfruttare sempre più risorse e territori, come per lo sfruttamento in Bolivia. L’accordo di Glasgow è un inizio in questa direzione.

 

La loro narrazione vince perché è l’unica che viene proposta: si tratta di un regime e non c’è spazio per i movimenti di alzare la propria voce e così arrivare alle persone. Non c’è confronto democratico e inclusivo.

Secondo Rehman, c’è bisogno di una convergenza globale tra la popolazione, i sindacati e le organizzazioni a favore del clima. I governi vanno alla COP non nell’interesse della gente, ma delle multinazionali. Bisogna considerare anche il problema della migrazione a causa del clima, con tutti i conseguenti effetti che questo avrà, a causa dello spostamento di milioni di persone. Ascoltiamo la solita narrativa del pensiero colonialista, secondo la quale il Nord del mondo è un giardino ordinato e tutto quello che sta fuori è una giungla. La gente dei Paesi in via di sviluppo ha bisogno di contare e, per contare, ha bisogno di servizi pubblici, protezione sociale, ammortizzatori sociali e l’adozione delle stesse lotte delle classi lavoratrici del nord globale. Bisogna cambiare la narrativa sul fatto che i migranti devono avere il diritto di migrare: non carità, ma ricostruzione di una coscienza globale di classe, lottando per alcuni diritti fondamentali. Uno dei fallimenti della sinistra, in particolare della sinistra europea, è stata quella di ripiegare nello stato nazionale nel corso degli ultimi 20-30 anni, mettendo da parte l’internazionalismo.

 

Secondo Gato, l’unico slogan possibile è “socialismo o barbarie”. Di conseguenza, il processo democratico da seguire è quello in seno al socialismo. Bisogna naturalmente sovratassare il sistema capitalista, ma allo stesso tempo intraprendere azioni radicali da parte delle sinistre. Purtroppo, la sinistra non è ancora in grado di adottare iniziative concrete per affrontare il problema della crisi climatica. Le strategie adottate per limitare l’aumento delle temperature stanno fallendo.

 

Domanda per Asad Rehman: fino a che punto credi che la COP sia un forum democratico?

Secondo Rehman, bisogna prima di tutto definire cosa s’intende per democrazia. La COP si è dimostrata in un certo senso democratica perché ha incluso tutti i Paesi ed è stata aperta alle loro istanze. Il problema è che i governi che hanno partecipato alla COP non sono forieri degli interessi dei loro cittadini.

 

Domanda per Alice Gato: in termini strategici, cosa pensi a proposito dell’eventuale creazione di un summit climatico dal basso in Brasile intorno alla COP di novembre 2025?

Secondo Gato, la risposta dipende da come i diversi processi evolveranno, perché nel summit in Brasile sono state fatte diverse proposte.

 

Secondo Rehman, in Brasile sono stati sollevati anche punti importanti come la difesa dei diritti degli indigeni. Ma il capitalismo non offre soluzioni, quindi si va sicuramente verso la barbarie. Il capitalismo nel Nord del mondo da un lato sfrutta la classe lavoratrice dando lavoro, ma dall’altro crea problemi di povertà e su come sfamare la famiglia. E’quindi necessario creare una narrativa che abbia successo, che sia anti establishment, riscatti gli oppressi, abbatta l’ingiustizia economica e sia anti-élite. La solidarietà delle classi sociali è un aspetto dirimente. Non si deve scaricare il costo della crisi climatica sulla classe lavoratrice. Bisogna unire i movimenti per la giustizia climatica con quelli che protestano contro la guerra in Palestina e allargare il movimento di protesta.

 

Osservazioni conclusive

Secondo Gato, abbiamo provato per anni ad affrontare il problema della crisi climatica, senza però essere incisivi. Bisogna quindi chiedersi quali strategie adottare e cosa dover cambiare per fare la differenza. La COP non ha nessuna legittimazione sociale nel mandare avanti le sue iniziative. La domanda è quale strategia efficace adottare per non sprecare risorse ed energie, al fine di costruire un potere effettivo dal basso per fronteggiare la crisi climatica meglio di come abbiamo fatto sinora.

 

Rehman si chiede quale sia la visione del mondo che dobbiamo articolare per costruire il nostro potere. Il nostro potere non deve essere solo teorico e di principio, ma si deve spendere nella lotta. La COP ha fallito nel raggiungere i suoi obbiettivi. La COP non è necessariamente un luogo utile in cui mandare avanti le nostre istanze. Perché abbiamo fallito a livello nazionale anche se non ci siamo mai arresi? Dobbiamo analizzare e affrontare le ragioni di questi fallimenti. E’ comunque una vittoria il fatto che le preoccupazioni sollevate in materia di crisi climatica abbiano raggiunto molte persone e anche i media mainstream negli ultimi 20 anni, portando alla nascita di molti network a difesa del clima: questa è una vittoria. Dobbiamo capire come costruire la lotta nei prossimi due anni, non solo per il clima, ma per affrontare i problemi economici e fronteggiare future pandemie. A proposito, bisogna rendere i vaccini alla portata di tutti, eliminando la proprietà intellettuale. Bisogna in generale non parlare solo su come il capitale sfrutta il pianeta, ma bisogna parlarne meglio. Bisogna lottare per difendere la dignità di ciascuno e parlare della realtà della crisi climatica, costruendo resilienza tra le comunità per affrontare questi problemi.

Fonte:  https://www.youtube.com/watch?v=sqVop08Yqg0

 

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