Cosa spinge i movimenti neofascisti a mettere in discussione, in varia misura, la realtà del cambiamento climatico, o almeno il suo rapporto con il comportamento umano?
di Gilbert Achcar, docente della SOAS, Università di Londra
Mentre un’ondata di caldo record sta colpendo gran parte dell’Europa e del Nord America, e il cambiamento climatico e il riscaldamento globale – contro i quali gli scienziati ambientali mettono in guardia da tempo, sottolineando la necessità di agire con urgenza prima che sia troppo tardi – sono sempre più confermati, in questo momento allarmante per il futuro del pianeta e dei suoi abitanti umani e animali, è opportuno chiedersi cosa spinga i movimenti neofascisti a mettere in discussione, in varia misura, la realtà del cambiamento climatico, o almeno il suo rapporto con il comportamento umano.

Abbiamo già osservato che «il neofascismo sta spingendo il mondo verso l’abisso con la palese ostilità della maggior parte delle sue fazioni nei confronti delle misure ecologiche indispensabili, esacerbando così il pericolo ambientale, soprattutto nel momento in cui il neofascismo ha preso le redini del potere sulla popolazione più inquinante del mondo in proporzione al suo numero: quella degli Stati Uniti».
Questa tendenza a negare la gravità del cambiamento climatico non è né naturale né intuitivamente comprensibile, a differenza di altre caratteristiche del neofascismo, come il nazionalismo, l’etnocentrismo, il razzismo, il sessismo e l’estrema ostilità nei confronti dei valori sociali emancipatori.
Cosa spinge quindi i movimenti neofascisti a negare una realtà sempre più evidente e, soprattutto, a opporsi alle politiche volte a combattere il cambiamento climatico per cercare di attenuarlo e impedire che la catastrofe peggiori?
I ricercatori hanno individuato tre fattori principali che spiegano questa tendenza.
Uno riguarda l’arsenale ideologico tradizionale dell’estrema destra, mentre gli altri due si riferiscono ai due poli di classe che determinano il comportamento dei neofascisti: l’ampia base sociale e la ristretta élite economica, di cui cercano di ottenere il sostegno.

Il primo fattore si basa sull’ultranazionalismo, che spesso si riflette in politiche “sovraniste” e “isolazioniste” che rifiutano qualsiasi accordo internazionale che limiti la libertà dello stato-nazione di determinare le proprie politiche economiche e di altro tipo. Questo comportamento raggiunge il suo livello più assurdo quando proviene dal paese che ha maggiore influenza nell’elaborazione degli accordi internazionali e delle politiche correlate, ovvero gli Stati Uniti.
Abbiamo visto come Donald Trump abbia giustificato il ritiro di Washington dagli accordi di Parigi sul clima, come se fossero il risultato di una collusione del resto del mondo per limitare la libertà degli Stati Uniti di sviluppare la propria economia, in particolare nello sfruttamento delle proprie risorse naturali di combustibili fossili – carbone, petrolio e gas. Il rifiuto neofascista degli accordi internazionali sull’ambiente si inserisce quindi nel quadro di un rifiuto totale di tutte le regole che, da un punto di vista ultranazionalista, limitano la sovranità nazionale.
Il secondo fattore consiste nel solleticare i sentimenti della base sociale di cui i neofascisti cercano di ottenere il sostegno elettorale. Essi sfruttano il malcontento di alcune categorie a basso reddito di fronte ai cambiamenti nello stile di vita e ai costi resi necessari dalla lotta contro il cambiamento climatico. Questo malcontento è certamente amplificato quando i governi neoliberisti cercano di imporre il costo di questa lotta alle categorie a basso reddito, piuttosto che al grande capitale, principale responsabile dell’inquinamento dannoso per l’ambiente.
Un esempio lampante di tale impresa è la tassa supplementare che il governo del presidente francese Emmanuel Macron ha cercato di imporre nel 2018 sul carburante dei veicoli, una misura che avrebbe avuto un impatto principalmente sulle fasce più basse di utenti di automobili. Questo tentativo ha scatenato una delle più grandi ondate di protesta popolare in Francia in questo secolo, nota come movimento dei Gilet Gialli. Una delle richieste del movimento contro il governo era quella di imporre una tassa sui patrimoni più elevati, piuttosto che un onere aggiuntivo su gran parte della popolazione.
Arriviamo così al terzo fattore che spiega la posizione neofascista sul cambiamento climatico. Una delle caratteristiche ben note del fascismo del passato è che cercava di ottenere il sostegno del grande capitale nonostante la sua retorica “populista” demagogica, che pretendeva di difendere gli interessi delle classi sociali inferiori e, in alcuni casi, si richiamava addirittura al “socialismo” – come nel caso del nazismo tedesco, il cui nome ufficiale vi faceva riferimento.

La collusione tra fascisti e grande capitale derivava principalmente dal timore di quest’ultimo per l’ascesa del movimento operaio, con le sue ali socialdemocratica e comunista, nel mezzo della crisi economica tra le due guerre del secolo scorso, anni dell’era fascista originaria.
Oggi, tuttavia, mentre il movimento operaio è notevolmente indebolito dall’assalto neoliberista e dal cambiamento tecnologico, la motivazione del grande capitale per la collusione con i movimenti neofascisti non è difensiva, ma offensiva. Ci troviamo di fronte a un tipo di grande capitale che cerca di proteggere la sua crescita monopolistica a scapito del piccolo e medio capitale.
Per farlo, deve liberarsi delle restrizioni precedentemente imposte per limitare i monopoli, ispirate da un liberalismo economico attento a preservare la concorrenza come motore principale dello sviluppo capitalistico. Da questo punto di vista, le politiche ambientali sono percepite come restrizioni imposte alla libertà del capitale, una libertà viziata da una contraddizione intrinseca, poiché una libertà completa e senza restrizioni porta inevitabilmente alla nascita di monopoli che minano quella stessa libertà.

L’esempio più eclatante è Peter Thiel, uno dei principali capitalisti americani e il più eminente sostenitore e promotore del neofascismo tra loro. Thiel è stato uno dei più ferventi sostenitori della campagna presidenziale di Donald Trump ed è anche noto per essere il padrino politico del vicepresidente J.D. Vance, portavoce quasi ufficiale dell’ideologia neofascista nell’amministrazione Trump.

Thiel dichiara senza vergogna la sua preferenza per i monopoli, sostenendo che essi consentono un progresso tecnologico senza ostacoli grazie a un arricchimento illimitato, mentre si oppone alle politiche ambientali con la motivazione che limitano la concorrenza internazionale!
Condivide questo punto di vista con i detentori dei monopoli americani nelle tecnologie avanzate e nelle loro applicazioni nel commercio e nei social media, che hanno sostenuto la recente campagna di Trump e contano su di lui per combattere le restrizioni e le tasse che i governi europei cercano di imporre loro. Trump ha posto questo compito in cima alla sua agenda nella guerra commerciale che ha dichiarato al resto del mondo.
Fonte da Al-Quds al-Arabi