di L. Kamo – Controtempi
È il 17 novembre 2019 quando per la prima volta un paziente affetto da Covid-19 viene ricoverato in ospedale. Siamo in Cina, nella provincia dello Hubei. I medici non sanno ancora di avere a che fare con un nuovo coronavirus, quello che di lì a un mese battezzeranno con il nome poco attraente di SARS-CoV-2. In meno di cinque mesi il virus contagerà più di un milione e mezzo di persone, uccidendone circa 100mila1. In realtà i casi sono molti di più ma, tra i molti asintomatici o paucisintomatici e la scarsità di tamponi e test in tutto il mondo, il numero esatto è impossibile da rilevare.
Dicevamo che siamo in Cina, nello Hubei. La cosa non ci deve sorprendere. Il “socialismo con caratteristiche cinesi” negli ultimi decenni ha “regalato” alla Cina un impetuoso sviluppo economico. E siccome di socialista la società cinese ha solo il nome, allo sviluppo economico si sono accompagnati urbanizzazione, inquinamento, distruzione degli habitat naturali, sfruttamento selvaggio di uomini e terre.
Non solo. Insieme alle forze produttive, la Cina ha importato dalle nazioni capitalisticamente progredite anche i modelli culturali. Tra questi il consumismo. Oggi un cinese mangia di media 60kg di carne all’anno, mentre sessant’anni fa ne mangiava 5kg. Siamo lontani dai circa 90kg degli USA, ma la domanda sorge spontanea: dove la vanno a prendere tutta questa carne in più?
Dagli allevamenti, soprattutto da quelli intensivi. Allevamenti verticali come quello nel Guangxi, che sorge nel mezzo della foresta e da cui l’anno scorso sono usciti pronti per la macellazione più di 2 milioni di maiali2. Oppure come quelli della JBS, in Brasile, che macella 77mila zebù, 13 milioni di polli e 116mila maiali al giorno e che è finita più volte nell’occhio del ciclone giudiziario per scandali di tangenti (Wesley Batista, uno dei due proprietari, ha ammesso di aver pagato dal 2007 al 2017 250 milioni di euro a funzionari e politici di tutti gli schieramenti), per aver venduto carne avariata o per aver macellato bestiame proveniente da pascoli illegali, frutto della deforestazione dell’Amazzonia3.
Già, la deforestazione… Perché oltre ad essere responsabili del 18% delle emissioni di gas serra (i mezzi di trasporto arrivano “solo” al 13%), gli allevamenti intensivi sono anche la principale causa di deforestazione nel mondo. Solo in Amazzonia i pascoli occupano circa l’80% delle aree dichiarate illegali, ossia di quelle aree che sono state disboscate bruciando pezzi di foresta.
Più disboscamento, meno foreste primarie, maggiore urbarnizzazione, distruzione accelerata degli habitat naturali isolati, maggiore possibilità di entrare in contatto con animali selvatici e, quindi, maggiore probabilità di entrare in contatto con le malattie degli animali selvatici. Il filo rosso, che corre lungo le rotte della produzione capitalistica di cibo, unisce l’attuale epidemia, anzi pandemia, con le politiche economiche dell’ultimo secolo e mezzo.
Non a caso già nel 2016 il rapporto dell’Unep (United Nations Environment Programme), intitolato Emerging Issues of Environmental Concern (Questioni emergenti nel campo ambientale), segnalava che
the 20th century was a period of unprecedented ecological change, with dramatic reductions in natural ecosystems and biodiversity and equally dramatic increases in people and domestic animals. Never before have so many animals been kept by so many people – and never before have so many opportunities existed for pathogens to pass from wild and domestic animals through the biophysical environment to affect people causing zoonotic diseases or zoonoses4
È l’ormai celebre spillover: il salto di specie che rende un virus, innocuo per l’animale selvatico, un pontenziale agente patogeno per l’uomo. SARS-CoV-2, come tutti i coronavirus che ci hanno infettati negli ultimi decenni, dall’influenza spagnola alla SARS, dalla MERS all’influenza suina, sono l’esito di questa dinamica epidemiologica.
Una dinamica che è sempre esistita, ma che nell’“era della globalizzazione” (meglio sarebbe dire del capitalismo marcescente) acquista un’estensione e una profondità mai conosciuta in precedenza: il milione e mezzo di persone contagiate e le 100mila morti sono soltanto l’inizio di una pandemia che probabilmente durerà anni.
Crisi sanitaria e crisi ecologica non sono altro che due facce della stessa medaglia: il modo in cui la società riproduce la propria esistenza e quindi si rapporta alla natura.
Nell’opuscolo Le radici dell’ecologia scrivevamo che il 15 marzo 2019 si è aperta una fase inedita nella storia contemporanea: milioni di persone sono scese in piazza in tutto il mondo contro il cambiamento climatico e la distruzione ambientale. Il successo delle manifestazioni è stato replicato più volte nel corso dell’anno.
Oggi il movimento “Fridays For Future” sembra in crisi, complice l’assenza di una strategia politica all’altezza del compito che si è preposto, ossia la trasformazione radicale dell’esistente. Trasformazione radicale che è il necessario corollario della lotta ecologista (anche se i singoli militanti o simpatizzanti spesso non ne hanno coscienza). Le “domande di cambiamento” rivolte a chi gestisce il potere politico ed economico sono evidentemente cadute nel vuoto.
La strategia politica era sbagliata ma l’analisi era giusta. Questo sistema produttivo non è sostenibile. Né per il mondo naturale, né – conseguentemente – per noi esseri umani. La pandemia da coronavirus non fa che ricordarcelo con forza, mettendo a nudo le contraddizioni più esplosive della nostra società.
Qui la seconda parte, sulla sanità.
Note
1Fonte Ministero della salute (consultato l’11-04-2020).
2“Indovina chi viene a cena”, Il virus è un boomerang, minuto 1:20 e ss.
3“Indovina chi viene a cena”, Che cosa mangeremo?, minuto 42 e ss.
4«Il XXI secolo è stato un periodo di cambiamenti ecologici senza precedenti, con drammatiche riduzioni degli ecosistemi naturali e della biodiversità eaumenti altrettanto drammatici di persone e animali domestici. Mai prima d’ora così tanti animali sono in contatto con così tante persone – e mai prima d’ora esistono così tante opportunità per i patogeni di passare da animali selvatici e domestici attraverso l’ambiente biofisico e colpire le persone, causando malattie zoonotiche o zoonosi», UNEP, Emerging Issues of Environmental Concern, p. 18