di Controtempi
Qual è il livello di dibattito che attraversa il mondo ecologista, quello che prima della pandemia, ha partecipato in modo convinto alle gigantesche mobilitazioni sul clima promosse da Greta Thumberg?
Tempo Zero – per chi non lo conoscesse un collettivo di studenti del dipartimento di fisica dell’università di Milano – ha pubblicato qualche mese fa un opuscolo che permette di dare una parziale risposta a questa domanda. L’opuscolo si intitola Appunti sul cambiamento climatico.
Già solo per questa ragione il documento di Tempo Zero è interessante. Per noi di Controtempi, poi, lo è doppiamente. Come abbiamo scritto in Le radici dell’ecologia e abbiamo poi ribadito nel Chi siamo di Red on Green, riteniamo infatti che «una soluzione alla crisi ecologica non [possa] che avvenire con un intervento radicale, che cioè vada alla radice del problema, e totalizzante, che investa l’interezza della società». E Tempo Zero, in qualche modo, prova a delineare una strategia di intervento radicale per bloccare la crisi climatica.
Ora, la prima parte del quaderno sviluppa il nocciolo argomentativo che corre lungo tutto il testo: il tentativo di dare una soluzione “tecnica” alla crisi climatica, soluzione che coincide con la «transizione energetica»:
La sola idea di sostituire risorse limitate e privatizzabili, che hanno provocato infinite ingiustizie, con risorse come il sole e il vento illimitate e impossibili da privatizzare rappresenta di per sé un modo diverso di pensare l’intero sistema economico (p. 14).
Questa citazione in particolare rappresenta il cuore della elaborazione di tutto il testo. A leggerla già sorgono alcuni dubbi più che legittimi.
Intanto viene riproposta una lettura della storia che non ci convince per niente. Anzi, che riteniamo proprio errata. Come si legge le «infinite ingiustizie» che viviamo non sarebbero imputabili al modo in cui la società attuale produce e riproduce la propria esistenza, una società la nostra in cui tutto è finalizzato alla ricerca del profitto, che quindi persegue una produzione continua e infinita di merci, uno sviluppo irrefrenabile, una “crescita” (questa sì!) storicamente fondata sui combustibili fossili, ecc. No, le «infinite ingiustizie» sarebbero prodotte dall’uso di «risorse limitate e privatizzabili»…
Non solo. Si ha sicuramente ragione quando si sostiene che il sole e il vento sono risorse illimitate (bisognerebbe però capire se, stante le attuali tecnologie, la potenza massima sviluppata in un dato momento sia sufficiente a ricoprire tutto il fabbisogno energetico mondiale…). Peraltro andrebbero aggiunte altre forme di energia “pulita” come, quanto meno, quella prodotta utilizzando il moto delle maree.
Ma dire che questo tipo di energia è “impossibile da privatizzare” è una corbelleria bella e buona. Le foreste di pale eoliche oggi esistenti, così come i campi di specchi solari che possiamo già incontrare in molte situazioni agricole, sono tutto fuorché pubbliche. Non è lo Stato, né qualcuna delle «migliaia di cooperative democratiche gestite dal basso» (millantate sempre a pagina 14 del testo) a utilizzare questa energia e a trarne profitto. A farlo sono delle belle e sane imprese capitalistiche, anche se a volte si presentano con una faccia green, assolutamente private e che, per di pi, spesso usufruiscono di incentivi statali pagati con le tasse di tutti (cioè soprattutto dei lavoratori).
Peraltro, e non siamo sicuramente noi a doverlo insegnare a degli ecologisti che spandono scienza da tutti i pori!, queste installazioni in realtà hanno molte controindicazioni, in particolare in termini di devastazione del territorio e del paesaggio, per non parlare della questione dei rifiuti tossici (per esempio le batterie esauste) che stante l’attuale livello tecnologico vengono smaltite con grande difficoltà.
Con questo non vogliamo ovviamente dire che siamo contrari all’abbandono dello sfruttamento del fossile e a favore di forme di energia più compatibile con l’ambiente. Diciamo però che il problema sta non solo nella tecnica di produzione dell’energia ma nella quantità di energia necessaria a mantenere in vita un sistema che si basa sulla produzione infinita di merci.
Se continuiamo ad avere centinaia di migliaia di aziende che producono cose sostanzialmente inutili, a vivere in megalopoli, a utilizzare milioni e milioni di automezzi individuali e privati per gli spostamenti, se continuiamo a consumare come dei forsennati, state pur certi che, anche se si frena l’attuale crisi climatica, nel giro di poco tempo la crisi ambientale si sposterà in altri settori e saremo punto a capo.
Non è quindi la «gestione dal basso delle risorse energetiche» (sempre la solita pagina 14) che ci può salvare, ma una vera e propria rivoluzione sociale che scardini l’attuale modello di produzione per instaurarne uno in cui la proprietà dei mezzi di produzione sia collettiva e la pianificazione della produzione e distribuzione dei beni democratica, che affronti il problema alla radice costruendo un modello di vita condiviso, socialmente giusto e sostenibile.
Potrebbe sembrare una questione di lana caprina. In fondo si usa una terminologia simile quando si parla dì gestione dal basso e partecipazione democratica. In realtà la differenza è assoluta e lo possiamo verificare nel proseguo del testo.
Come abbiamo detto in precedenza, l’approccio di Tempo Zero rimane sempre questo: il fatto tecnico precede e genera le scelte politiche. Ecco, noi pensiamo esattamente l’opposto. Non che la tecnologia e la scienza non siano importanti, ma senza una partecipazione delle masse ai destini della società, la tecnologia e la scienza sono un strumento del sistema del profitto.
L’esempio più lampante lo troviamo a pagina 23 quando si propone, come una delle soluzioni ai problemi della fame nel mondo l’agrigenetica (quindi gli OGM). Proprio tra gli ambientalisti c’è stato un fortissimo dibattito sulla pericolosità di questo strumento, con forti mobilitazioni contadine nei paesi poveri contro l’utilizzo di una tecnologia agricola invasiva e funzionale all’agricoltura intensiva e quindi in grado di devastare letteralmente il territorio. Peraltro con conseguenze non verificate sulla salute di uomini e animali.
Ora, se questa è per noi la principale critica agli appunti di Tempo Zero, altre sono le questioni su cui divergiamo. Ci riferiamo in particolare all’approccio nei confronti del movimento per il clima. L’idea che passa, peraltro la stessa dominante in Fridays For Future, è che il movimento serva come strumento di pressione per fare cambiare rotta ai politici. Una sorta di lobby ecologista che chiedendo a voce alta può ottenere il risultato:
C’è comunque la speranza che, in seguito al recente aumento d’interesse della popolazione in merito alla questione ambientale, possa cambiare qualcosa anche a livello politico (p. 26).
Ancora una volta il metodo scientifico e la comunità scientifica si dimostrano in grado di fornire importanti elementi culturali e modificare gli equilibri politici del globo… (p. 29).
Forse noi viviamo su un altro mondo, ma i cambiamenti enunciati proprio non li abbiamo visti: la crescita della temperatura del globo terrestre è lungi dall’essere fermata e tutti i disastri previsti a seguito di questa si stanno puntualmente verificando. Le varie COP sono al palo e le politiche di Green New Deal annunciate qui e là sono completamente ferme (anche perché i finanziamenti pubblici di cui le imprese avevano bisogno per affrontare la crisi economica li stanno avendo grazie alle politiche di sostegno post-pandemia).
A questo si aggiunge che la pressione per il cambio della politica energetica mondiale avrebbe necessità di una mobilitazione permanente di grandissime masse. Oggi, al di là degli scioperi per il clima comunque episodici, un movimento del genere è ben lungi da venire.
Di questo sono consci gli stessi autori dell’opuscolo. I quali ritengono infatti più credibile riprendere lo slogan «pensare globale e agire locale», facendo dichiarare «l’emergenza climatica e ambientale alle istituzioni locali» in modo da obbligarle a «prendere impegni concreti e passare dalle parole ai fatti» (pp. 30 e 31). Ora anche su questo le obiezioni che abbiamo sono precise:
- Gli eventuali risultati ottenuti con questa strategia rappresenterebbero in realtà una goccia nel mare, assolutamente ininfluenti sulla drammatica situazione della crisi climatica che abbisogna subito di un intervento drastico e globale. Se urliamo nelle manifestazioni che «Non c’è più tempo», non possiamo pensare di risolvere la cosa con la politica dei piccoli passi… E la ragione è proprio che non c’è più tempo!
- Nella stragrande maggioranza dei casi a queste dichiarazioni formali, quando vengono accettate, non fa seguito nulla dal punto di vista concreto. Ne abbiamo la dimostrazione proprio a Milano, dove la giunta Sala ha dichiarato l’emergenza per poi, il giorno dopo, aumentare il prezzo dei biglietti del trasporto pubblico. Altro che impegni concreti.
Questi sono alcuni, i più importanti, appunti di critica del quaderno di Tempo Zero. Speriamo che siano utili per aprire il dibattito necessario sullo sviluppo del movimento per il clima e per il cambiamento di questa società.
Un ultimo appunto. A pagina 34 l’opuscolo si chiude sperando in un mondo «i cui i poveri sono meno poveri e i ricchi meno ricchi».
Ecco, noi invece speriamo in un mondo di uguali, in cui non ci siano né poveri né ricchi.