di Delia Carloni – Sinistra Anticapitalista


Proseguiamo la pubblicazione degli Atti del Primo seminario dei Collettivi Ecosocialisti di Sinistra Anticapitalista. Qui trovate l’introduzione, qui il primo capitolo, qui il secondo capitolo.

Il rapporto della specie umana con la “natura” è stato centrale non solo nello sviluppo, attraverso i millenni, delle diverse economie che la specie umana ha conosciuto, ma anche nella nascita stessa delle società divise in classi. La specie umana, nei suoi diversi milioni di anni di esistenza, ha conosciuto infatti diverse forme di economia che si possono, estremizzando, scindere in due grandi categorie: quelle basate su ciò che la natura offre di per sé e quelle basate sulla produzione.

Le economie che si basano su ciò che offre la natura di per sé sono quelle che vengono generalmente definite “di caccia e raccolta”. Consistono nel cacciare gli animali che esistono di per sé, che non vengono cioè allevati dall’uomo, e nel raccogliere specie vegetali di varia natura: cereali spontanei, verdure e semi oleaginosi, i quali, ancora una volta, esistono di per sé e non sono coltivati dall’uomo. Questo tipo di sistema economico è caratterizzato dall’assenza di un surplus, ovvero dall’assenza di un di più da accumulare e gestire. Sappiamo che in questo tipo di organizzazione economica la società era sostanzialmente egualitaria e non vi erano differenziazioni economiche all’interno. Con l’agricoltura e l’allevamento, i gruppi umani hanno poi domesticato specie vegetali e animali al fine di produrre da sé le risorse di cui hanno bisogno. Questo passaggio è estremamente importante nella storia dell’uomo perché è il momento in cui la “natura” è diventata di fatto un mezzo di produzione. L’avvento dell’economia produttiva è noto in letteratura come “Rivoluzione neolitica”. Il primo a introdurre questa denominazione fu Vere Gordon Childe, un archeologo socialista della prima metà del Novecento, che ha avuto il merito di studiare e interpretare la preistoria con gli occhi del materialismo storico. Proprio in questa fase, la specie umana comincia a intervenire radicalmente negli equilibri della biosfera, condizionandone l’esistenza. Dal punto di vista strutturale, le economie produttive hanno introdotto la presenza del surplus, ovvero beni in eccedenza da gestire. Nella gestione del surplus si è creata la disuguaglianza economica, con individui che possiedono di più e individui che possiedono di meno. Con l’avvento della produzione del cibo, gli animali sono stati assoggettati alla specie umana, per la quale hanno anche cominciato a svolgere un lavoro (si pensi al loro essere stati “aratri” o all’aver funto da mezzi di trasporto, ad esempio), con il surplus da gestire e la nascita della proprietà privata comincia lo sfruttamento dell’umano sull’altro umano e dell’uomo sulla donna. Si può dire che il rapporto dell’uomo con la “natura” ha costituito un fattore chiave per la differenziazione sociale.

Il primitivismo va rifiutato, parte da un’idea illusoria di quella che era la società preistorica. Si pensa che le comunità agricole vivessero in pace ed “in armonia con la natura”, quando invece erano spesso in guerra fra loro per accaparrarsi territori più vantaggiosi. Avevano spesso degli schiavi o dei lavoratori che potremmo definire quasi “salariati”, che provenivano dai gruppi umani che non avevano ancora effettuato il passaggio all’economia produttiva e non possedevano né le varietà vegetali e né quelle animali domesticate. È chiaro come lo stesso “produrre” e il possedere i mezzi di produzione, vale a dire le specie vegetali domesticate (materia prima, mezzo di produzione) e le specie animali domesticate (materia prima, mezzo di produzione e forza lavoro), abbia costituito un vantaggio che ha determinato l’esistenza di forme di assoggettamento e subordinazione di gruppi umani che non erano al medesimo livello di sviluppo economico. Non dobbiamo negare il passato, perché è stato necessario ad arrivare al punto attuale, ma non dobbiamo neanche idealizzarlo. Lungi da qualsiasi sguardo “rivolto all’indietro”, da qualsiasi idealizzazione primitivista, dobbiamo elaborare un paradigma ecosocialista che costituisca una risposta di tipo evoluzionista alla regressione dei rapporti all’interno della specie umana, del rapporto uomo-natura, del rapporto tra le specie animali viventi (compresa quella umana) a cui l’economia produttiva, non organizzata secondo la pianificazione democratica, ci ha portati.

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