di Daniel Tanuro

Pubblichiamo un commento apparso lo scorso 7 novembre su facebook. Ci sembra interessante per le riserve che pone in merito all’accordo stipulato sulla riduzione delle emissioni di metano. Riserve che, a maggior ragione, valgono per tutte le decisioni prese nell’ambito della COP26.

È chiaro che il capitalismo è strutturalmente incapace di fermare la catastrofe climatica. Non ci si ricorda abbastanza che questa incapacità è drammaticamente aumentata dopo l’affermazione del suo regime neoliberale. Questo è ben illustrato, ad esempio, dall’accordo sul metano concluso alla COP26.

A breve termine, il potere radiativo (potere di riscaldamento) del metano è 80 volte quello della CO2. Ma il metano viene rapidamente rimosso dall’atmosfera, ed è per questo che, sulla base di cent’anni, si considera il suo effetto 30 volte maggiore di quello del CO2.

Una parte sostanziale delle emissioni di metano è direttamente dovuta alle attività umane: perdite nelle reti di gas, nei pozzi di petrolio o nelle miniere di carbone. Prevenire queste perdite è relativamente facile e non richiede cambiamenti strutturali nel sistema di produzione. L’impatto immediato sul clima può essere molto significativo.

Alla COP26, più di 100 paesi si sono impegnati a ridurre le loro emissioni di metano del 30% entro il 2030. Se questa riduzione avvenisse effettivamente, il riscaldamento nel 2050 sarebbe ridotto di 0,2°C. Nella situazione nella quale ci troviamo, si tratterebbe di un risultato per nulla insignificante. Ma non c’è garanzia che questa riduzione venga effettivamente realizzata. L’impegno è rappresentato solo una dichiarazione d’intenti, non ci sono quote per paese e, di conseguenza, nessuna sanzione per il mancato rispetto…

Colpisce in questo accordo il netto contrasto, ad esempio, con il protocollo sulla protezione dello strato di ozono, firmato nel 1993. In quel testo, i firmatari decisero di eliminare del tutto le emissioni di clorofluorocarburi (CFC). Venne fissata una scadenza e fu creato un fondo globale per aiutare i paesi del Sud ad applicare l’accordo. Il risultato fu una riduzione dell’80% delle emissioni di CFC nel lasso di un periodo di venti anni.

Lo stesso metodo di regolamentazione e solidarietà globale potrebbe essere usato per ridurre le emissioni di metano. Anche se non del tutto, perché ridurre le emissioni degli ecosistemi e dell’agricoltura è più complicato. Ma le perdite dovute all’apparato industriale-estrattivo potrebbero essere praticamente eliminate.

Si pone immediatamente una domanda: per quale ragione non facciamo per il metano quello che abbiamo fatto per i CFC? La risposta è abbastanza semplice: se i governi hanno fatto ricorso ad una regolamentazione nel secondo caso, è stato perché il gigante chimico americano, Dupont De Nemours, aveva a disposizione una soluzione tecnica alternativa e molto redditizia ai CFC. Una soluzione che gli permetteva anche di presentarsi come il salvatore del pianeta… Adottare una regolamentazione per proibire le perdite di metano, d’altra parte, richiederebbe alle aziende investimenti che costano più del gas risparmiato.

Gli Stati Uniti e il Canada, tuttavia, sembrano disposti a regolamentare per eliminare le perdite. Anche l’UE lo è. In effetti, ha un certo senso: a parte i blaster alla Trump, i leader capitalisti cominciano a farsi prendere dal panico per il cambiamento climatico. Ma bisogna essere chiari: a differenza della riduzione drastica delle emissioni di CO2, la riduzione delle perdite di metano ha il vantaggio di non richiedere cambiamenti strutturali al sistema di produzione…

Ma c’è ancora molta strada da fare: Cina e Russia non fanno sottoscritto l’accordo sul metano. Questo servirà certamente come pretesto ai capitalisti di altri paesi per sviluppare ulteriori resistenze, in nome della competitività. Quindi, se una regolamentazione c’è, resta da vedere chi pagherà il conto…

In ogni caso, anche un regolamento vincolante sulle perdite di metano rappresenterebbe solo una piccola tregua alla catastrofe. La catastrofe può essere fermata solo riducendo a zero le emissioni nette di CO2, perché questo gas, a differenza del metano, si accumula nell’atmosfera. E al punto in cui il capitalismo ci ha portato, non c’è più spazio di manovra: dobbiamo produrre meno, trasportare meno e condividere di più. Abbiamo bisogno di un piano per condividere il lavoro necessario, le ricchezze, il tempo e lo spazio.

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