I progetti di Cattura e Stoccaggio di Anidride Carbonica CO2 non sono una soluzione, ma parte del problema

Il Coordinamento ravennate “Per il Clima – Fuori dal Fossile”, e in generale le realtà che si impegnano per la giustizia climatica, non hanno certo i mezzi per “noleggiare” intere pagine di giornale o di altri mezzi d’informazione. Ma sentiamo il dovere di dire ugualmente la nostra, dopo aver letto le posizioni a favore della cosiddetta “cattura e stoccaggio della CO2” comparse sulla stampa di alcuni giorni fa. Per avere una corretta informazione è giusto che i lettori possano sentire le diverse “campane”.

Infatti, nel vistoso inserto che abbiamo avuto modo di leggere, la cattura e lo stoccaggio della CO2 (CCS) vengono descritti come una tecnologia essenziale per azzerare le emissioni antropiche di gas serra entro il 2050, in particolare per la decarbonizzazione di settori cosiddetti hard to abate, le acciaierie, i cementifici, le industrie della ceramica e della chimica. Il giornalista e chi lo ha ispirato dimenticano però di dire che è un tassello fondamentale solo se si vuole continuare a usare sine die i combustibili fossili.

Si dice che questa tecnologia “cattura” la CO2, la trasporta e la sotterra in siti di stoccaggio, spesso nei giacimenti di fonti fossili vuoti che si trovano nei fondali marini. La CO2 sarebbe poi utilizzata per produrre carburanti, prodotti chimici e materiali da costruzione, ma tali tecniche sono ancora sperimentali e per il momento non utilizzabili.

Catturare la CO2 è un processo assai complesso e non si può farlo passare come qualcosa di facilmente realizzabile. Ma ancora più problematica è la fase dello stoccaggio. Nei siti prescelti la CO2 dovrà rimanere praticamente “all’infinito”, perché non è assolutamente conveniente utilizzarla dal punto di vista industriale. Fra l’altro lo stoccaggio sottoterra o sott’acqua ha molti rischi, soprattutto per territori sismici o delicati per quanto riguarda la geomorfologia: in pratica questi depositi potrebbero diventare delle vere e proprie bombe.

Quanto poi al fatto che tale metodica potrebbe assorbire il 13% dell’anidride carbonica eliminabile dall’atmosfera e che vi siano numerosi progetti in fase di realizzazione, non abbiamo motivo di ritenere che i dati riportati non siano attendibili. Andrebbe però aggiunto che, stando al report 2022 del Global CCS Institute, la situazione che emerge è molto diversa da quella descritta nell’articolo: infatti si tratta solo di progetti in discussione, finanziati in piccola parte, e va chiarito che, in Europa; i due impianti in Norvegia sono solo impianti pilota e stanno avendo grossi problemi di funzionamento e di resa. L’impianto operante in Islanda è un caso tutto particolare; usa una tecnologia molto sofisticata e difficilmente replicabile e, comunque, la quantità di CO2 che l’impianto è in grado di stoccare in un anno (difficilmente aumentabile) è pari a quella prodotta in soli tre secondi nell’intero pianeta.

Ricordiamo anche che l’impianto di Petra Nova negli Stati Uniti è stato chiuso per inefficienza, quello della Chevron in Australia ha dato risultati corrispondenti a non più del 30% di quanto ci si aspettava e in Canada una di queste strutture ha dimostrato di produrre più emissioni di quante ne riusciva a catturare.

Come viene auspicato dal mondo dell’oil&gas, il primo impianto in Italia (ma anche nel sud Europa e nell’area del Mediterraneo) nascerà proprio a Ravenna e dovrebbe concretizzarsi nei primi mesi del 2024, grazie ad un’alleanza fra Snam (che metterà a disposizione le condotte) ed ENI (che invece fornirà i giacimenti esausti di metano). L’ Italia, con Eni e Snam, si candida, quindi, a diventare l’hub della CCS per il Sud Europa e vorrebbe addirittura accogliere le emissioni di altri Paesi.

A nostro avviso l’Italia (in particolare la zona ravennate) non è sicuramente il posto adatto in cui stoccare CO2 e gli ingenti investimenti (che pagherà in grandissima parte il contribuente) potrebbero invece essere orientati verso la costruzione di un vero hub del solare e di un sistema basato sulla produzione rinnovabile, decentrata e diffusa.

Quanto poi a sostenere che i progetti CCS sono semplici da realizzare, con costi competitivi (rispetto a che cosa?) e in tempi brevi (se va tutto bene i risultati si vedranno verso il 2050) è letteralmente un falso in atto pubblico.

Un ricercatore del Renewable Energy Institute ha recentemente affermato che “I Governi sono troppo ottimisti sulle tecnologie che catturano e immagazzinano le emissioni di carbonio. Gran parte di queste tecnologie non è ancora stata testata e, inoltre, non abbiamo abbastanza luoghi adatti per immagazzinare le grandi quantità di carbonio che dovrebbero essere catturate. Questi luoghi non sono sempre facilmente raggiungibili e il trasporto può quindi diventare costoso e inefficiente, per non parlare dei rischi associati alla fuoriuscita accidentale di carbonio da questi siti”.

Forse il vero grande problema non è che i Governi sono più o meno ottimisti, bensì che i colossi del fossile hanno su di essi un po’ troppa influenza.

Coordinamento Ravennate “Per il Clima – Fuori dal Fossile”

 

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