di Bruno Buonomo

Gli impatti dei cambiamenti climatici sono sempre più evidenti in molte parti del mondo (incendi, inondazioni, siccità, eventi atmosferici estremi etc.), con proiezioni sempre più drammatiche come sottolineato dall’ultimo report, dell’IPCC (SIXTH ASSESSMENT REPORT Working Group I – The Physical Science Basis) pubblicato lo scorso mese di agosto (la traduzione della sintesi in appendice)  ma a fronte di questa enorme emergenza, i capitalisti e i governi al loro servizio ignorano che le emissioni vanno ridotte subito, il riscaldamento è già a 1 ° C a livello medio globale e per mantenerlo sotto 1,5 ° C le emissioni devono essere ridotte di circa il 58% entro il 2030, lanciando l’ allarme che mancano 9 anni per fermare il cambiamento climatico.

 E in questo drammatico ed allarmante contesto che nei prossimi giorni (31 Ottobre-12 Novembre) si svolgerà a Glasgow (Scozia), la 26esima Conferenza delle parti sul cambiamento climatico delle Nazioni Unite (COP26).

La COP, o Conferenza delle Parti, è, appunto, il principale organo decisionale nel quadro del UNFCCC, la convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, stipulata nel 1985. La prima COP (COP1) si tenne a Berlino il 7 aprile 1995. Da allora si sono tenute altre venticinque COP, per arrivare a quest’ultima che si sta per svolgere. Le COP dovrebbero decidere congiuntamente le misure che gli Stati dovrebbero applicare affinché la temperatura globale non superi una certa soglia, determinata dalle risultanze dei ricercatori, come ad esempio quelli dell’IPCC.

Probabilmente come per le scorse conferenze, assisteremo ad inutili negoziati, in cui i quasi 200 Paesi riuniti, non raggiungeranno un accordo per fronteggiare l’emergenza climatica in corso.

Ma, non tutti paesi sono egualmente responsabili del riscaldamento globale, ovviamente i paesi imperialisti sono i maggiori responsabili. Questo è scritto nel documento delle Nazioni Unite redatto nel 1992 a Rio come principio delle responsabilità comuni e differenziate, che implica che i paesi più responsabili debbano fare maggiori sforzi rispetto ai paesi meno implicati. È assolutamente chiaro che arrivare a questo obiettivo, o avvicinarsi il più possibile ad esso, le regole del sistema capitalista sono assolutamente incompatibili, per una ragione fondamentale: non esiste capitalismo senza crescita, e quindi per ridurre del 58% le emissioni di CO2, bisogna rimettere in discussione “la vacca sacra del capitalismo”!

Nel corso degli ultimi anni, ci sono state molte proteste di movimenti ambientalisti e di giovani studenti in tutto il mondo, nei quali cresce sempre più la convinzione che i governi non stanno prendendo le necessarie misure per affrontare questo enorme problema, ma al contrario propongono solo false soluzioni al fine di garantire che i profitti dei capitalisti non vengano messi in discussione.

L’emergenza climatica è il più importante problema politico e sociale dei nostri giorni. Non è però questione di dare una mano di vernice verde a un modo di produzione globale che è intrinsecamente anti-ecologico: la prevalenza strutturale dell’aspetto quantitativo, del consumo e della dissipazione

di ogni tipo di risorsa, compresa la forza-lavoro umana, sull’aspetto qualitativo, impediscono di prospettare soluzioni all’interno del sistema capitalistico.

È urgente imporre un cambio di rotta rispetto all’attuale paradigma energetico e produttivo, per il diritto al clima ed alla giustizia climatica, per favorire cooperazione e sviluppo scientifico al servizio del valore d’uso.

La COP26 deve essere un’opportunità per sfidare i leader, per screditarli esponendo le loro bugie, per destabilizzarli politicamente attraverso il potere delle nostre mobilitazioni, per riprendersi il potere presentando le nostre soluzioni per la giustizia sociale e climatica:

– Piani di riduzione delle emissioni nei diversi settori: trasporti, edilizia, energia e dell’agricoltura per restare al di sotto del l’1,5% C, con la partecipazione diretta dei lavoratori interessati e delle comunità interessate alla progettazione al l’attuazione di soluzioni alternative

– il rifiuto del “superamento temporaneo”.
– La lotta contro le tecnologie pericolose (nucleare, OGM, geoingegneria, BECCS).

– La fine dei meccanismi di compensazione e il rispetto dei popoli del Sud del mondo e in particolare dei popoli indigeni.
– Sospensione dei grandi progetti distruttivi di estrazione imposti alle popolazioni
– Riduzione della produzione di materiali e trasporto non necessario.

 Ecosocialismo o barbarie: questa è la scelta che sta diventando sempre più chiara.

Il nostro pianeta, le nostre vite, la vita stessa, valgono più dei loro profitti!

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