di Umberto Oreste

 

Gli anni ‘80

Negli anni ’80 una visione più compiutamente ecosocialista viene contemporaneamente proposta all’est, nella DDR da Rudolf Bahro, ed in occidente da James O’ Connor.

Rudolf Bahro con il testo Per un comunismo democratico, l’alternativa non rinnegando la base strutturale dell’economia socialista, ne denuncia le deviazioni burocratiche in nome del socialismo ecologico.

James O’ Connor fonda nel 1988 la rivista Capitalism, Nature, Socialism espressamente dedicata all’analisi dell’ Ecomarxismo. O’Connor vuole mostrare che la difesa della natura è parte integrante dell’apparato categoriale marxiano, e non qualcosa che le è estraneo; definisce ecosocialismo le teorie e i movimenti che aspirano a subordinare il valore di scambio ai valori d’uso, organizzando la produzione in funzione dei bisogni sociali e delle esigenze di protezione dell’ambiente.

O’ Connor vuole mostrare come un ecologismo coerente non possa che investire globalmente i processi economici e politici su scala planetaria. In questo tentativo di conciliazione, O’ Connor  forza la teoria della crisi economica di Marx in teoria della crisi ecologica: la distruzione della natura provoca un aumento dei costi di produzione nel tentativo di sanare i guasti subiti dall’ambiente. Questo deve passare necessariamente attraverso lo stato e la politica e non essere demandato alle forze private. Da ciò si ricava che occorre una grande svolta politica, basata su un potere diffuso e su una grande partecipazione di base. Sulla base di tale ragionamento teorico, individua una transizione al socialismo: secondo O’ Connor, però, forme più sociali delle forze produttive, dei rapporti di produzione e delle condizioni di produzione sono una condizione necessaria ma non sufficiente per produrre un simile cambiamento. Non vi è, dunque, secondo l’economista marxista statunitense alcuna tendenza intrinseca del capitalismo a trasformarsi in socialismo. Esiste bensì la necessità di condurre a una “ricostruzione socialista” fra gli esseri umani e le condizioni di produzione.

 

Contemporaneamente all’introduzione della prospettiva ecosocialista, assistiamo nel 1988 all’istituzione dell’IPCC che sarà un riferimento scientifico politicamente neutro, sulle variazioni globali indotte dall’economia dominante. L’istituzione dell’IPCC (International Panel on Climate Change) è stata approvata dall’assemblea generale delle nazioni unite nel 1988. Il suo compito iniziale, come delineato dalla risoluzione 43/53 dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite del 6 dicembre 1988, era di preparare: 1. Una revisione completa e raccomandazioni in merito allo stato di conoscenza del scienza del cambiamento climatico; 2. Prevedere l’impatto sociale ed economico dei cambiamenti climatici, 3. Indicare le potenziali strategie di risposta e 4. Individuare gli elementi da includere in un’eventuale futura convenzione internazionale sul clima.Dal 1988, l’IPCC ha avuto cinque cicli di valutazione e ha prodotto cinque rapporti (più uno in corso di stesura), i rapporti scientifici più completi sui cambiamenti climatici prodotti in tutto il mondo (1990, 1995, 2001, 2007, 2013, 2015). Ha inoltre prodotto una serie di rapporti metodologici, rapporti speciali e documenti tecnici, in risposta alle richieste di informazioni su specifiche questioni scientifiche e tecniche da parte della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC), governi e organizzazioni internazionali.

 

Gli anni ‘90

La Conferenza delle Nazioni Unite su ambiente e sviluppo si tenne a Rio de Janeiro, nel giugno 1992, è conosciuta anche come il Summit della Terra o Eco92. Alla Conferenza partecipano 172 rappresentanze governative (tra cui 108 Capi di Stato) e 2.400 rappresentanti di organizzazioni non governative. Inoltre, 17.000 persone partecipano al Forum parallelo delle Ong. Al termine della Conferenza vengono adottati 5 documenti fondamentali che costituiranno, da quel momento in poi, le linee-guida per l’azione degli Stati membri:

La Convenzione quadro delle Nazioni Unite per i cambiamenti climatici (UNFCCC) è un trattato internazionale che aveva come obiettivo quello di promuovere una serie di politiche e di sforzi per affrontare a livello globale i problemi imposti dai cambiamenti climatici.

La Convenzione sulla diversità biologica aveva come obbiettivo la tutela delle specie a rischio di estinzione.

L’Agenda 21 era un programma per aumentare la produzione e diminuire la povertà.

La Dichiarazione di Rio su Ambiente e Sviluppo definiva 27 principi diritti e responsabilità nei riguardi dello sviluppo sostenibile.

I Principi sulle Foreste era un documento non vincolante legalmente, che definiva diverse azioni per la salvaguardia delle foreste.

Naturalmente questi documenti dovettero poi ricevere la firma e la ratifica degli stati e questo percorso fu lungo e travagliato. Comunque i trattati non ponevano nessuna verifica all’effettiva attuazione degli stessi, per cui non sbagliamo nel dire che non servirono a nulla. Solo cinque anni dopo, nel 1997, ai documenti di Rio si aggiunse il cosiddetto Protocollo di Kioto, pubblicato dalla conferenza delle parti COP3 della Convenzione quadro ONU sui cambiamenti climatici. Il Protocollo di Kioto, che prevede limitazioni concordate delle emissioni di gas serra, ha vigore legale dal 2005, ma paesi come gli USA lo hanno firmato ma non ratificato, Il Canada si è ritirato dal trattato dopo averlo ratificato. Rispetto agli atteggiamenti equivoci degli stati, negli stessi anni, il movimento contro i cambiamenti climatici è dilagato praticamente in tutti i paesi. Movimenti ambientalisti hanno una lunga storia in Italia e nel mondo, ma il momento di incontro dell’ambientalismo con la contestazione del modello socioeconomico dominante avvenne in un preciso momento della fine del secolo scorso con la rivolta di Seattle iniziata il 30 novembre 1999 in concomitanza dello svolgimento della Conferenza dell’Organizzazione mondiale del Commercio programmata per definire il punto di partenza di un nuovo ciclo di scambi commerciali.

(continua)

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