di Daniel Tanuro

La presidenza della COP28 da parte del capo della compagnia petrolifera nazionale di Abu Dhabi (ADNOC) – il sultano Al-Jaber – non è una vicenda attribuibile unicamente alla rotazione dei paesi che ospitano le conferenze sul clima. Riflette un riposizionamento tattico dei principali produttori di combustibili fossili, petrolio e gas in particolare.

Privati o pubblici, questi grandi gruppi di combustibili fossili hanno assunto per decenni una posizione difensiva, intrisa più o meno esplicitamente di negazionismo climatico. Nel corso degli anni, hanno successivamente contestato il riscaldamento globale in sé, la sua origine “antropica”, il ruolo della CO2 e quindi la quota di emissioni di CO2 attribuibile a carbone, petrolio e gas.

Un lungo tabù

Grazie al loro enorme potere politico, i capitalisti del settore energetico hanno marcato punti importanti: la grande responsabilità dei combustibili fossili non è menzionata nella Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC, Rio 1992), né nell’Accordo di Parigi adottato alla COP21 (2015). Questi documenti auspicano la riduzione delle emissioni di gas a effetto serra, ma non una minore estrazione e consumo di combustibili fossili.

Solo alla COP26 (Glasgow, 2021) il termine “combustibili fossili” è apparso nei documenti ufficiali. In quella COP, il tentativo di decidere di eliminare gradualmente il carbone è stato respinto all’ultimo minuto e la risoluzione finale adottata si limitava a chiedere una “riduzione graduale” dei combustibili fossili, non una “eliminazione graduale”. Nel frattempo, l’inventario delle politiche attuate dalle Nazioni Unite in applicazione di Parigi ha emesso il suo verdetto: il mondo sta andando dritto verso il muro, verso un aumento della temperatura di 2,9°C. Verrà finalmente imposto il “phasing out” [eliminazione graduale NdT]? Per tutti i combustibili fossili o solo per il carbone? In ogni caso, gli sfruttatori di questa risorsa sono sempre più sotto pressione.

La pressione sta aumentando

Gli scienziati hanno smascherato le bugie dei “mercanti del dubbio” e disinnescato i tentativi di screditare le loro conclusioni. (1) La pressione della società è cresciuta costantemente con l’aumentare della frequenza e della violenza dei disastri. È aumentata anche all’interno della classe dirigente, in particolare tra gli assicuratori. Tutto ciò si è tradotto nel desiderio dei principali governi di intraprendere una sorta di “transizione energetica”. In questo contesto, la tattica fossile dell’ostruzionismo recalcitrante sta diventando difficile da sostenere.

I gruppi energetici amano presentarsi come i benefattori che offrono all’umanità calore, luce, mobilità e sviluppo. Continuare a ignorare le questioni climatiche potrebbe danneggiare seriamente la loro immagine. Le persone convinte che questi capitalisti abbiano deliberatamente sacrificato le loro condizioni di vita sull’altare del profitto potrebbero chiedere un risarcimento per i danni subiti, gridare vendetta o addirittura chiedere la socializzazione del settore energetico e l’esproprio dei capitalisti.

Profitti osceni

Secondo l’Agenzia Internazionale per l’Energia, le multinazionali (tra cui Shell, ExxonMobil, Chevron, BP e TotalEnergies) hanno realizzato profitti per più di 4’000 miliardi di dollari nel 2022 – più del doppio del profitto medio degli ultimi anni. Le compagnie nazionali non sono da meno, in particolare la saudita Aramco (161 miliardi di dollari, con un aumento del 46% rispetto al 2021), la sua sorellina emiratina ADNOC (24,7 miliardi di dollari, con un aumento del 27%), la norvegese Equinor (151 miliardi di dollari, con un aumento del 67%) e le loro controparti in altri Paesi (Qatar, Kuwait, ecc.).

Questi profitti astronomici diventano davvero osceni se si considera che il numero di persone nel mondo che non ha accesso all’elettricità è aumentato nel 2022 per la prima volta in vent’anni. E la situazione non è destinata a cambiare: secondo l’AIE, a politiche costanti, nel 2030 660 milioni di persone saranno ancora senza elettricità, di cui 550 milioni nell’Africa subsahariana. Tutto questo mentre l’impegno preso nel 2009 dai Paesi ricchi di versare cento miliardi di dollari all’anno nel Fondo verde per il clima a partire dal 2020 non è ancora stato rispettato. L’ingiustizia climatica è il principale scandalo del nostro tempo. Potrebbe alimentare rivolte o addirittura rivoluzioni.

Per queste imprese  è quindi meglio anticipare, adattarsi alla crescente pressione e usarla per modellare gli obiettivi, i mezzi e il ritmo della politica climatica in base ai propri interessi. L’obiettivo strategico rimane invariato: spendere il meno possibile e impedire qualsiasi calendario vincolante per l’eliminazione dei combustibili fossili, se possibile a breve, medio o addirittura lungo termine. Ma le tattiche sono state adattate: l’obiettivo è ora quello di posizionarsi al centro del gioco, presentando il settore come la parte principale della soluzione piuttosto che la fonte principale del problema. Lanciare un’offerta pubblica di acquisto sulle COP è la missione che il presidente di ADNOC sostiene di incarnare.

Ambizione geostrategiche

Vedremo più avanti quali conigli al-Jaber tira fuori dal cilindro alla COP28 nel tentativo di preservare l’impero dei fossili. Ma,ancor prima, vale la pena riflettere su fatto che questo tentativo di mettere le mani sulle COP non proviene dalle grandi aziende statunitensi e dai loro rappresentanti politici (al contrario, questi ultimi sono principalmente reclutati tra le fila dei negazionisti climatici aperti): proviene dagli Emirati Arabi Uniti e, dietro di essi, dall’Arabia Saudita, attraverso le loro compagnie nazionali di petrolio e gas.

Ciò è indubbiamente legato alle nuove ambizioni geostrategiche di questi due Stati, che approfittano delle crescenti rivalità tra le maggiori potenze imperialiste per promuovere i propri interessi. Gli eventi recenti hanno dimostrato che i sauditi e gli emiratini intendono liberarsi dalla tutela di Washington. Sulla questione climatica, ciò si esprime nella cura con cui questi due Paesi – il Regno dei Saud in particolare – si pongono come portavoce del diritto allo sviluppo del “Sud globale“… di cui fanno ufficialmente parte.

Immaginate Joe Biden che afferma che è per aiutare lo “sviluppo sostenibile” del Sud che gli Stati Uniti stanno trivellando un numero maggiore di nuovi pozzi di petrolio che ai tempi di Trump: nessuno in America Latina gli crederebbe. Lo stesso scetticismo prevarrebbe in Africa se Emmanuel Macron sostenesse che i progetti di TotalEnergies in Gabon e Uganda mirano al benessere delle popolazioni nel rispetto dell’ambiente… In generale, l’imperialismo occidentale è profondamente screditato nei Paesi dominati. Putin e Xi Jiping lo hanno capito.

E lo hanno capito anche gli sceicchi del petrolio. Anche se nuotano in una ricchezza insolente, opprimono i loro popoli e spremono senza pietà i lavoratori immigrati (2), la loro particolare situazione li rende, agli occhi dei governi del Sud, attori più credibili in una politica climatica “realistica“, “seria” e “pragmatica“, come dice al-Jaber. In altre parole, una politica che allenti i cordoni della borsa e metta in secondo piano la fine dell’estrazione e della combustione dei combustibili fossili, in nome del “diritto allo sviluppo” dei Paesi più poveri del mondo.

Demagogia “antimperialista”

Non è un caso che al-Jaber abbia aperto la COP con una “buona notizia” per il Sud del mondo: contrariamente a tutte le aspettative, i negoziati per il lancio effettivo del fondo per le “perdite e i danni” concordato in linea di principio alla COP26 in Egitto si sono conclusi con successo. Standing ovation dei delegati al vertice. In realtà, l’entusiasmo è mal riposto: il fondo sarà supervisionato dalla Banca Mondiale (come richiesto dagli Stati Uniti) e i contributi saranno volontari, per lo più sotto forma di prestiti. Sono state raccolte subito alcune centinaia di milioni di dollari. Ma è di miliardi, non di milioni, che i popoli del Sud hanno bisogno, come ha affermato Rachel Cleetus dell’Union of Concerned Scientists (UCS) (3).

La manovra delle Petromonarchie è chiarissima: utilizzare le legittime richieste dei popoli del Sud per proteggere il proprio impero. A tal fine, al-Jaber non esita a mettere in campo una demagogia falsamente “antimperialista”. Ciò è stato evidente nel suo teso scambio con l’ex presidente della Repubblica d’Irlanda ed ex inviato speciale delle Nazioni Unite per il cambiamento climatico. Il Presidente della COP28 ha accusato Mary Robinson di aver creduto alle “bugie” dei media occidentali (“i vostri media“), che lanciavano “false accuse” contro i piani di investimento di ADNOC. Ha accusato la sua interlocutrice di volere “un ritorno alle caverne” e l’ha sfidata a proporre un “piano di uscita dai fossili” che fosse compatibile con lo sviluppo. Alla fine, in un impeto di stizza, al-Jaber ha gettato la maschera: “nessuna scienza fa dell’uscita dai fossili una condizione necessaria per rimanere al di sotto di 1,5°C di riscaldamento“, ha dichiarato (4).

Investimenti frenetici nei combustibili fossili

In realtà, i piani di investimento nei combustibili fossili di ADNOC sono molto concreti: secondo l’Energy Information Administration degli Stati Uniti, gli Emirati prevedono di aumentare la loro produzione di petrolio del 25% da qui al 2027 (5). Il Presidente della COP28 sta dando un contributo importante a questo: secondo Climate Reporting, la sua agenda include non meno di quindici contratti di vendita di combustibili fossili (a Cina, Germania, Brasile ed Egitto, tra gli altri) (6). Questa è solo la punta dell’iceberg: tutte le compagnie di combustibili fossili stanno facendo lo stesso. Entro il 2025, i progetti di espansione dei dieci maggiori inquinatori nel settore dei combustibili fossili aggiungeranno 20 Gt di CO2, più di cinque volte le emissioni annuali dei Paesi dell’Unione Europea (7).

Questa frenesia di investimento è completamente contraria al consenso scientifico. Anche l’Agenzia Internazionale dell’Energia lo afferma: il tempo sta per scadere, l’abbandono dei combustibili fossili deve iniziare ora. Secondo l’ultimo rapporto del Gruppo di lavoro III dell’IPCC, “la riduzione delle emissioni di gas serra nel settore energetico richiede (…) una sostanziale riduzione del consumo complessivo di combustibili fossili”. Il rapporto definisce l’entità di questa riduzione: entro il 2050, il consumo di carbone, petrolio e gas dovrà diminuire rispettivamente del 95%, 60% e 45% (rispetto al 2019) per avere la metà delle possibilità di rimanere al di sotto di 1,5°C (8).

Assurdità

Per evitare la scure, l’amministratore delegato di ADNOC sta sfruttando appieno l’idea che è la riduzione delle emissioni che conta, non la riduzione dell’uso dei combustibili fossili: possiamo inquinare, dobbiamo solo nascondere la CO2 sotto il tappeto. Ad esempio, iniettando la CO2 catturata nei giacimenti di petrolio… per aumentare l’estrazione. Il grande capo della ExxonMobil, Darren Woods, giunto a Dubai per sostenere il collega emiratino, ha detto chiaramente che si parla troppo di “soluzione elettrica“. “La cattura del carbonio avrà un ruolo. L’idrogeno avrà un ruolo. I biocarburanti avranno un ruolo. Siamo bravi in queste cose. Sappiamo come farlo” (9).

Tutto ciò è ovviamente assurdo. Prendiamo l’esempio della cattura e sequestro del carbonio. Tranne forse nel settore del cemento, questo procedimento è particolarmente assurdo. Anche se tutte le intenzioni in questo settore si realizzassero e tutti i progetti diventassero operativi, entro il 2030 cattureremmo solo 0,25 Gt di CO2, meno dell’1% delle attuali emissioni globali (10). Il problema è che questa assurdità non è del tutto assente dal lavoro dell’IPCC (Il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico -Intergovernmental Panel on Climate Change, IPCC dell’ONU NdT)

Le responsabilità dell’IPCC

Nel 5° rapporto, che è servito da base per l’Accordo di Parigi, il 95% delle proiezioni climatiche includeva la massiccia diffusione della bioenergia con cattura e sequestro del carbonio (BECCS) (11). Questa tecnologia da apprendisti stregoni consumerebbe così tanta parte della superficie terreste che l’umanità dovrebbe scegliere: mangiare o dare il colpo di grazia alla biodiversità. Il 6° rapporto è meno entusiasta rispetto al BECCS, ma rimane concentrato sulla cattura e il sequestro di carbonio e su tecnologie simili. Nel rapporto di sintesi – un documento politicamente più incisivo delle migliaia di pagine messe nero su bianco dai Gruppi di lavoro I, II e III – si legge quanto segue: “Emissioni nette zero (entro il 2050) significa passare dai combustibili fossili senza cattura e stoccaggio del carbonio (CCS) a fonti energetiche prive di carbonio o a bassissimo contenuto di carbonio, come le rinnovabili o i combustibili fossili con CCS (…) e rimuovere l’anidride carbonica dall’atmosfera (CDR)” (12).

In questo testo, 1°) gli obiettivi quantificati di riduzione dei combustibili fossili citati dal Gruppo di lavoro III dell’IPCC sono scomparsi; 2°) la riduzione assoluta dell’uso di questi combustibili è sostituita da una formula che mette insieme le fonti rinnovabili, i combustibili fossili con cattura e sequestro del carbonio (BECCS) e le tecnologie per rimuovere l’anidride carbonica dall’atmosfera (CDR)! Il testo si spinge fino a sostenere che i combustibili fossili con cattura e sequestro del carbonio (BECCS) costituiscono una “fonte energetica priva di carbonio o a basso contenuto di carbonio“,il che è una falsità scientifica.

“Emissioni non ridotte” (Unabated emissions)

Molte delle proposte avanzate dal Presidente della COP28 si basano su questa falsità. Al-Jaber ha abbassato la guardia di fronte a Mary Robinson (“nessuna scienza sostiene i combustibili fossili, ecc.”). Ma si è trattato di una momentanea perdita di controllo. Di solito è attento a ripetere che il consumo di combustibili fossili deve essere ridotto “senza sosta” (13). Jim Skea, il nuovo presidente dell’IPCC, gli ha addirittura dato ragione: “Posso dire che il dottor Sultan ha prestato attenzione alla scienza” (14).

In effetti, “combustibili fossili non abbattuti” è la formula utilizzata dall’IPCC per indicare i combustibili fossili che vengono sfruttati senza tecnologie per rimuovere il carbonio dall’atmosfera. Una nota a piè di pagina del rapporto del gruppo di lavoro III dell’IPCC fornisce la seguente definizione: “I combustibili fossili non sfruttati si riferiscono ai combustibili fossili prodotti e utilizzati senza interventi (?) che riducano sostanzialmente (?) la quantità di emissioni di gas serra durante il ciclo di vita; ad esempio (sic) catturando il 90% o più (di CO2) dalle centrali elettriche, o il 50-80% delle emissioni di metano dall’approvvigionamento energetico” (15).

Questo è molto impreciso – gli “interventi” non sono specificati. Inoltre, l’”esempio” di “cattura del 90% o più” è incoerente: se l’abbattimento delle emissioni non è del 100%, non siamo a “zero netto”. Persino Fatih Birol, il capitalista capo dell’AIE, sottolinea che “come priorità, dobbiamo fare tutto il possibile per smettere di immettere carbonio nell’atmosfera” (16). Il Sultano al-Jaber sta facendo esattamente il contrario.

Polvere negli occhi

Insieme, l’Arabia Saudita e gli Emirati hanno approfittato della COP28 per rendere pubblico il “patto” stipulato da 50 aziende produttrici di combustibili fossili per eliminare le loro emissioni (“senza sosta“, ovviamente) entro il 2050. Si tratta di una pura e semplice messinscena, organizzata con l’aiuto di McKinsey. Non solo l’impegno al 2050 è un insulto all’urgenza della situazione, ma il “patto” riguarda solo le emissioni “operative” (direttamente legate all’attività di estrazione). Queste rappresentano appena il 15% delle emissioni derivanti dalla combustione dei combustibili fossili! Il tentativo di disinformazione è coll’evidente che persino la stampa finanziaria è critica (17).

Per distogliere l’attenzione dalla “graduale eliminazione” dei combustibili fossili, al-Jaber sta usando la sua posizione di Presidente della COP per spingere i governi a prendere impegni parziali su una serie di questioni. Si tratta di dichiarazioni d’intenti non vincolanti… ma, trasmesse con cura ai media, danno l’impressione che il vertice stia accumulando successi.

E così tutto fa brodo: l’impegno a produrre idrogeno verde, blu o grigio ai tropici, da esportare in massa nei Paesi sviluppati (18); l’impegno di 22 Paesi a triplicare la capacità energetica nucleare entro il 2050; l’impegno di altri 15 ad abbandonare il carbone; l’impegno di altri 134 a includere l’agricoltura e l’alimentazione nei loro piani climatici (una promessa così vaga che non menziona nemmeno la questione della carne! ); senza dimenticare, naturalmente, ciò che costa meno ai capitalisti: proteggere le foreste esistenti e piantare alberi per assorbire la CO2.

Neocolonialismo climatico

Da questo punto di vista, gli sceicchi se la cavano egregiamente, visto che la società emiratina Blue Carbon LLC ha acquisito per trent’anni il 10% della superficie totale di Liberia, Tanzania e Zambia e il 20% di quella dello Zimbabwe, ossia 25 milioni di ettari. La Blue Carbon è stata costituita poco più di un anno fa partendo dal presupposto che l’articolo 6 dell’Accordo di Parigi sarebbe stato applicato alla COP28, consentendole di vendere crediti di carbonio e di intascare il 70% del ricavato – a quanto pare con una clausola di acquisto preferenziale per gli Emirati. I governi dei Paesi africani non hanno evidentemente consultato le loro popolazioni (19). Si tratta di neocolonialismo sulle spalle dei popoli, per un’efficacia climatica prossima allo zero: secondo una recente indagine, il 94% dei crediti di carbonio generati nelle foreste equatoriali non corrisponde a nulla (20). Gli ideologi neoliberisti introdurranno il concetto di “crediti di carbonio fittizi“? Nulla dovrebbe più sorprenderci in questo pazzo mondo in cui il capitale, come diceva Marx, presenta tutto alla rovescia…

Contratti, contratti,…

Se il Sultano al-Jaber non è d’accordo con Fatih Birol sulla cattura e il sequestro di carbonio, lo è invece sulle energie rinnovabili. L’AIE chiede di triplicare la capacità installata entro il 2030. Il Presidente della COP28 approva a gran voce. Ma ha un interesse personale a farlo, dal momento che non solo è a capo di ADNOC, ma anche della società emiratina MASDAR, specializzata in energia verde. Pochi giorni prima dell’apertura del vertice, MASDAR ha inaugurato negli Emirati Arabi Uniti il più grande impianto fotovoltaico del mondo (21). Bingo: alla COP si stanno firmando contratti a raffica (22).

Per la famiglia regnante degli Emirati, la COP28 è una gigantesca operazione diplomatico-geostrategica-commerciale. Il diplomatico climatico Alex Scott afferma: “Questa COP è ancora più una fiera commerciale di quelle di Glasgow e Sharm-el-Sheik. Non credo che tutti quei finanzieri siano qui per assistere a ore di negoziati sul clima” (23). In realtà, il vertice è completamente incancrenito dall’industria dei combustibili fossili, dalla finanza e dai loro lobbisti, presenti a migliaia anche nelle delegazioni nazionali (24).

Passerà o no?

La presa di potere da parte dell’industria fossile avrà successo? Il Segretario Generale delle Nazioni Unite ha messo i bastoni tra le ruote. Ventiquattro ore dopo la pubblicazione delle proposte di al-Jaber, Antonio Guterres ha dichiarato alla COP che queste proposte “sono chiaramente al di sotto di ciò che è necessario” perché “non dicono nulla sull’eliminazione delle emissioni derivanti dall’uso di combustibili fossili” (25). Ma le decisioni della COP sono prese sulla base del consenso tra governi capitalisti, tutti aderenti a politiche neoliberiste, tutti dediti anima e corpo alla competitività di un’economia che, trent’anni dopo il vertice di Rio, dipende ancora per l’80% dai combustibili fossili. Una sola cosa è certa: solo la lotta popolare per un’alternativa anticapitalista può fermare la catastrofe.

 

 

NOTE

      1.In particolare il tentativo di screditare la serietà delle loro ricerche, poco prima di Copenhagen.

  1. Ricordiamo le migliaia di morti nei cantieri della Coppa del Mondo in Qatar. Negli Emirati, i lavoratori immigrati hanno lavorato a temperature di oltre 42°C nel cantiere della COP28, in barba alla legislazione locale.
  2. https://www.rtbf.be/article/cop28-un-premier-accord-pour-creer-un-fonds-pertes-et-dommages-pour-aider-les-pays-vulnerables
  3. Vedi il video sul sito del Guardian https://www.theguardian.com/environment/2023/dec/03/back-into-caves-cop28-president-dismisses-phase-out-of-fossil-fuels
  4. Le Monde, 30/11/2023
  5. https://climate-reporting.org/cop28-president-oil-climate/
  6. citato da Corporate Europe Observatory in “COP28 push for Hydrogen”.
  7. IPCC, AR6, WGIII, SPM, C.3.2
  8. Financial Times, 2/12/2023
  9. Rapporto sul divario di produzione, https://productiongap.org, citato su https://www.desmogblog.com
  10. Secondo il climatologo Kevin Anderson. Si veda il suo blog http://kevinanderson.info/blog
  11. IPCC, AR6, Rapporto di sintesi, Sintesi per i responsabili politici, B.6.3
  12. A volte dice anche che dobbiamo “abbandonare i combustibili fossili”, ma sempre “senza ritardi”.
  13. BBC, 4/2/2023
  14. IPCC, AR6, WGIII, SPM, nota 55
  15. https://www.iea.org/news/the-path-to-limiting-global-warming-to-1-5-c-has-narrowed-but-clean-energy-growth-is-keeping-it-open
  16. Financial Times, 2/12/2023
  17. Si veda l’eccellente analisi di questi progetti fuorvianti da parte di Corporate Europe Observatory, op. cit.
  18. Le Monde, 29/11/2023
  19. The Guardian, 18/1/2023
  20. https://www.prnewswire.com/news-releases/deputy-ruler-of-abu-dhabi-inaugurates-worlds-largest-single-site-solar-power-plant-ahead-of-cop28-301992276.html
  21. https://www.pv-tech.org/masdar-roundup-uae-sate-owned-developer-makes-flurry-of-deals-during-cop28/
  22. Financial Times, 1/12/2023
  23. Leggi l’ottimo articolo di RTBF, che dà ampia voce a Pascoe Sabido, dell’Osservatorio Corporate Europe
  24. Financial Times, 3/12/2023

 

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