Di Dario Manni, Gruppo di Antispecismo Politico

 Qualche dato preliminare può aiutarci a inquadrare correttamente le proteste degli agricoltori di mezza Europa cui stiamo assistendo in questa, come è stata chiamata, “rivolta dei trattori”. Nel nostro paese, le piccole imprese agricole hanno un reddito fra i 12.000 e i 16.000€ l’anno e sono il 71,7% del totale. Con meno di cinque ettari di superficie agricola utilizzabile, esse possiedono appena il 12,6% della superficie agricola totale. Il 61% sul totale delle imprese agricole non impiega nemmeno un dipendente.[i] Negli ultimi quarant’anni, in Italia hanno chiuso i battenti due milioni di aziende agricole; in Europa cinque milioni[ii] in soli quindici anni, dal 2005 al 2020.

Non stupisce che la maggior parte fossero micro- e piccole imprese. È in questo contesto che vanno letti fenomeni come l’aumento dell’evasione e dell’elusione fiscale nel comparto, la diffusione di pratiche agricole dannose per l’ambiente, il peggioramento della piaga del lavoro in nero e “in grigio” e in generale l’aggravio delle condizioni lavorative dei braccianti. A differenza di alcune anime belle e finto-progressiste di sinistra e centro-sinistra, noi ecosocialisti antispecisti/e/3 dobbiamo comprendere questi fenomeni non, moralisticamente, come frutto dell’egoismo e dell’avidità degli agricoltori; ma come portato della globalizzazione neoliberista, dei suoi trattati internazionali di libero scambio, della mercatizzazione e della finanziarizzazione del settore. CETA, TTIP, UE-Mercosur: l’apertura dei mercati internazionali senza previa omogeneizzazione delle normative sul lavoro, sulla qualità e sul controllo delle materie prime e del prodotto finito, nonché sugli impatti ambientali della produzione, ha determinato una corsa al ribasso dei prezzi, l’impoverimento e il fallimento di molte realtà produttive minori. Piuttosto che contrastare queste tendenze, la Politica Agricola Comune, PAC, le ha finora ricevute passivamente, assegnando i fondi in base alle dimensioni delle imprese agricole e dunque lasciando inalterato lo status quo. L’80% del budget europeo per l’agricoltura va al 20% delle imprese del settore, le più grandi, che possono così continuare a divorare le altre. Come se non bastasse, la burocrazia che i piccoli devono affrontare, spesso senza competenze specifiche per farlo, finisce per essere un ostacolo all’effettiva erogazione degli scarsi sussidi che gli sono destinati. Ma la lista dei problemi sarebbe ancora lunga e altri l’hanno già stilata, assieme a una mappatura delle lotte.[iii] Qui ci concentreremo su alcune considerazioni di merito e proveremo a indicare una via percorribile per le forze dell’ecosocialismo antispecista.

La destra cavalca lo scontento di un mondo largamente spoliticizzato cercando di guidarlo, come ha sempre fatto, verso falsi obiettivi: fra gli altri, quelli più (im)popolari sono la transizione ecologica, la carne coltivata e le farine di insetti. Mostrando il suo volto demagogico, essa può così continuare a sedere sugli scranni del potere, dove persegue a monte le stesse politiche i cui effetti condanna a valle. Il governo Meloni, così come il Partito Democratico (con poche eccezioni), ha non solo votato ma anche voluto l’attuale PAC; la stessa contro cui molti agricoltori stanno protestando. Sfruttando memoria corta e disaffezione verso le forme istituzionali della rappresentanza politica che accomunano agricoltori e larga parte del resto della società, la destra riesce così a strappare qualche voto, controllare il dissenso e indebolire le forze progressiste. Ma queste ultime hanno evidenti, grosse responsabilità. La sinistra neo-liberale e neo-liberista, infatti, non solo ha attuato le stesse politiche delle grandi multinazionali del cibo e dell’establishment di destra; ma ne è stata sempre convinta promotrice. Come già accaduto con la crisi pandemica, il malessere sociale causato – anche – dalle proprie politiche è stato ignorato spostando l’attenzione pubblica sui mostri che tale malessere non poteva non generare: il negazionismo sul Covid ieri, l’opposizione (purtroppo vincente[iv]) alla stretta sull’uso dei pesticidi oggi, sono infatti fra i motivi preferiti dai liberali, che presentano gli agricoltori come egoisti e ignoranti. Anche settori della sinistra radicale e, spiace dirlo, alcuni sinceri compagni e compagne hanno fin qui delegittimato le proteste del mondo agricolo riducendole a manifestazioni dell’egoismo e dell’opportunismo piccolo-borghese: quella dei “trattori” sarebbe una lotta di padroni e padroncini con i quali non immischiarsi, dicono. Si pensi, piuttosto, ai braccianti, veri operai e proletari; con buona pace del fatto che non ci si pensava fino a prima delle proteste…

 

Purtroppo anche il mondo antispecista radical-progressista si è unito al codazzo ipocrita del centro-sinistra radical chic, dei liberal-radicali di sinistra, dei rossi neo-bordighisti e degli ambientalisti senza lotta di classe. Esso condanna gli agricoltori in quanto sfruttatori degli animali che allevano e si augura il fallimento delle loro imprese.[v] È giusto che il movimento di liberazione animale sia fortemente critico verso ogni forma di sfruttamento animale, e in quanto antispecist3 comprendiamo le ragioni della resistenza nel praticare forme di solidarietà verso chi è considerato da sempre un nemico. Ma l’ostilità e l’indifferenza verso le proteste in atto vanno chiamate per quello che sono: un suicidio politico, frutto di una visione miope e parziale e della più completa assenza di coscienza di classe. Già Marx ed Engels scrivevano, nel Manifesto del Partito Comunista, che per effetto del generale impoverimento causato dalla concentrazione di capitale in sempre meno mani, tipica del modo di produzione capitalistico, “Il proletariato si recluta […] in tutte le classi della popolazione”.[vi] Prima, durante e dopo l’Ottobre, Lenin si spese affinché lo strato intermedio fra borghesia e proletariato rappresentato dai piccoli imprenditori agricoli non fosse trattato a priori come nemico della rivoluzione, ma anzi come elemento che, della rivoluzione stessa, avrebbe potuto decidere l’esito a seconda di come si sarebbe schierato.[vii] Disinteressarsi agli agricoltori in protesta significa, quindi, non solo esagerare le loro responsabilità nei confronti dello sfruttamento animale (il che deriva dalla mancata comprensione della natura del capitale e/o dalla personale avversione verso la categoria); ma anche rinunciare a condizionarne il posizionamento nei confronti della rivoluzione. La destra ha già dimostrato di essere meno propensa a giocare d’azzardo con il successo e l’insuccesso del suo progetto sociale.[viii]

Forse ci si illude ancora che l’allargamento e il consolidamento delle forze della reazione non sia un danno per la liberazione animale, o che le possibilità che essa si realizzi non varino al variare del modo di produzione – e, in particolare, del superamento del modo di produzione capitalistico. È chiaro che se la questione animale assume centralità rispetto al conflitto fra capitale e lavoro (o anche se viene posta sullo stesso piano strategico), non si possa che condannare gli agricoltori in protesta e rifiutare ogni dialogo con loro. Sfortunatamente, l’antispecismo non politico, ovvero non marxista, fa esattamente questo. Fortunatamente, il suo errore può servire da esempio alle forze politiche rivoluzionarie affinché non lo compiano anch’esse.

Sinistra, ambientalisti e antispecisti rischiano di alienarsi più ancora di quanto già non gli siano aliene le simpatie di un settore che, similmente agli animali umani e non umani che sfrutta, è molto più vittima che agente del capitale. Un settore che rischia di spostarsi sempre più a destra, rallentando così qualsiasi progetto di transizione ambientale, compresa la transizione alimentare verso l’agroalimentare bio-vegano cui, come Gruppo di Antispecismo Politico, pensiamo si debba tendere. All’incapacità di lettura delle dinamiche in atto e dell’identità sociale dei loro attori si unisce così una tragica e deleteria assenza di senso pratico.

Non accettiamo acriticamente ogni rivendicazione del mondo agricolo, soprattutto quelle che vengono dai signori e dalle signore ventriloque di destra. Molte delle richieste degli agricoltori, nella forma in cui sono state espresse, sono francamente irricevibili. A titolo esemplificativo e non esaustivo: continuare a utilizzare lo stesso quantitativo di pesticidi senza transizione della propria attività e di tutto il comparto a modelli di agricoltura meno intensivi; non far “riposare”, a rotazione annuale, il 4% dei terreni ai fini della loro rigenerazione e della tutela della biodiversità in una situazione di generale impoverimento delle superfici agricole; limitare l’importazione di prodotti esteri e contrastare la concorrenza sleale senza mettere in discussione la propria speculazione oltreconfine, dove molti producono, e poi importano, a costi inferiori che nei loro paesi; contenere la fauna selvatica senza allestire recinzioni specifiche e all’avanguardia, senza limitare la caccia (che spesso è fattore di proliferazione, non di contenimento[ix]) e senza creare nuovi corridoi faunistici e oasi naturali… Oltre alle richieste c’è poi da considerare la natura eterogena dei trattori, espressione di imprese più o meno tutte in difficoltà ma che versano in condizioni diverse le une dalle altre.[x] Questo è ancora più vero, come abbiamo visto in apertura, se si prende in esame il settore agricolo in generale, dove esistono enormi differenze fra micro- e piccole, medie e grandi imprese.

E se ci sembra francamente improbabile trovare molti alleati nel settore agricolo al di fuori della piccola proprietà, come ecosocialisti/e/3 dobbiamo però ribadire con altrettanta franchezza la nostra contrarietà a un modello di produzione fatto di piccola proprietà privata e sfruttamento umano e di tutti gli altri animali. L’attuale agroalimentare è ingiusto e insostenibile, e lo sarebbe anche se fosse in mano a chi in questi giorni manifesta sotto i palazzi del potere. Ma attendersi che chi protesta sia anche e sempre capace di proporre, e di proporre davvero nell’interesse collettivo, sarebbe attendersi troppo. Che le rivendicazioni di settore siano parziali, talvolta perfino miopi, è la norma. Inserirle in un contesto più ampio che ne rinnovi il significato, vi risponda in maniera originale ma ugualmente esatta, soddisfacente e che le renda funzionali a un progetto complessivo, sta alle forze politiche e alla società civile. Far mancare comprensione e solidarietà ai manifestanti sarebbe dunque erroneo e controproducente. Occorre porsi in ascolto e comprendere le ragioni delle proteste, mediando le richieste degli agricoltori con i bisogni e i diritti del resto della cittadinanza e dell’animalità tutta, umanità compresa. Occorre uscire dal paradigma capitalista e neoliberista, che per sua natura sfrutta tutto e tutt3, crea e si nutre di infinite ingiustizie sociali. Occorre finanziare la transizione a un agroalimentare pianificato, antispecista ed eco-sostenibile. Senza imporne il prezzo a chi ha già pagato troppo.

[i] Struttura e caratteristiche delle unità economiche del settore agricolo (istat.it)

[ii] Dati Eurostat – Perse oltre 5 milioni di aziende agricole nella UE dal 2005 al 2020 – Uniceb

[iii] Mappatura delle lotte del movimento dei contadini in Europa – Collettivo Le Gauche

[iv] Protesta trattori, Von Der Leyen: “Stop a legge sui pesticidi, ascoltare agricoltori”. Meloni: “Una vittoria anche italiana” – DIRE.it

[v] Considerazioni sulla “rivolta dei trattori” – Veganzetta

[vi] Karl Marx, Friedrich Engels, Manifesto del Partito Comunista, Feltrinelli, Milano, 2020, pag. 17

[vii] Lenin, la rivoluzione e le alleanze di classe – La Città Futura (lacittafutura.it)

[viii] Agricoltori, Meloni: “Io con voi da sempre” – Il Secolo XIX

[ix] Emergenza cinghiali, Tozzi: “I cacciatori sono il problema, non la soluzione” (romatoday.it)

[x] Decifrare il movimento degli agricoltori | Global Project

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