di Avis Everhard


La pandemia di Covid-19 ha portato a maturazione contraddizioni antiche: contraddizioni culturali, politiche, sociali… In questi ultimi due mesi ce ne siamo occupati spesso. Torniamo ancora sulla questione, questa volta provando a tematizzare un aspetto rimasto finora in ombra, quello economico.

Le prime avvisaglie della crisi economica sono iniziate già a gennaio. La chiusura delle attività commerciali e produttive in Cina – la “manifattura del mondo” com’è stata chiamata – non poteva che riverberarsi sul resto del pianeta. I voli sono stati interrotti, i commerci rallentati, le fabbriche chiuse… Interi comparti produttivi hanno subito un tracollo mai visto precedentemente.

Anche nei paesi come l’Italia, in cui le attività produttive non hanno subito un reale blocco totale (il 51% dei lavoratori ha continuato a lavorare durante il cosiddetto lockdown), la chiusura di negozi, bar, ristoranti, ecc. e quindi la conseguente diminuzione dei consumi ha avuto effetti retroattivi sulla sfera della produzione.

Secondo i calcoli del Fondo Monetario Internazionale, riportati dal Sole24Ore, quest’anno il Pil mondiale calerà a -3%, mentre gli USA toccheranno il -5,9% e l’Italia arriverà addirittura a -9%. La Cina strapperà un 1,2%, una cifra ben al di sotto degli standard del Paese asiatico (nel 2019 si era attestato a 6,1%). La disoccupazione invece salirà in Italia dal 10% al 12,7%, in Portogallo dal 7% al 14%, in Spagna al 20,8%, in Grecia al 22,3%. Dall’altra parte dell’oceano, negli USA, solo nell’ultimo mese sono state 22 milioni le richieste per il sussidio di disoccupazione. Sempre il Sole24Ore, in un altro articolo, segnala con preoccupazione che «le stime degli analisti temono tassi di disoccupazione che potrebbero raggiungere e forse superare il 20%, in un clima da Grande Depressione»1.

A ben vedere, però, anche prima del lockdown l’economia mondiale non godeva certo di buona salute. Come scrivevamo l’anno scorso nel manifesto di Controtempi (che potete trovare qui):

Da[lle crisi del petrolio degli anni Settanta], a parte riprese congiunturali, non siamo mai usciti. Basta vedere il saggio medio di profitto dal dopoguerra a oggi per accorgersene (tabella 12).

1.

crisi
Il saggio medio di profitto è indicato con la sigla inglese ARP. C/V indica il rapporto tra capitale costante e capitale variabile.

Dopo un’iniziale impennata del saggio medio di profitto alla fine degli anni 40, questo conosce una oscillante ma progressiva diminuzione ostacolata solo congiunturalmente tra gli anni 90 e i primi anni 2000, in occasione cioè della new economy. In questa situazione di reflusso economico di lunga durata va inquadrata l’ultima crisi [la crisi del 2008], che si è abbattuta con inaudita gravità e da cui tutt’ora l’economia mondiale non si è ripresa3.

Al calo del saggio medio di profitto, il capitale ha reagito nell’unico modo che conosce: aumentando il ritmo e la durata del lavoro, in termini marxiani diremmo aumentando il “saggio di sfruttamento” (vd. tabella 2: più P/V ha un valore alto, maggiore è il ritmo e la durata di lavoro); e migrando nel settore finanziario, dove ha l’illusione di potersi riprodurre per partenogenesi, senza cioè passare dalle forche caudine della produzione. Per esprimerci con le parole di Martin Wolf, commentatore del Financial Times:

il simbolo di questo sistema è la crescita smisurata del settore finanziario. La quantità di credito che le banche fanno all’economia è triplicata negli ultimi 50 anni, ma questo aumento ha prodotto ritorni sotto forma di crescita economica sempre più bassi. Perché, infatti, investire in una nuova e rischiosa tecnologia, come automobili che consumano meno, quando speculare sul mercato dei derivati offre ritorni dieci volte maggiori?4

2.

crisi SMP e PV
ARP è la sigla inglese che indica il saggio medio di profitto. P/V è “plusvalore fratto valore”, ossia il saggio di sfruttamento.

È questa la ragione della crescita esponenziale del debito pubblico5, soprattutto dopo e non nonostante la crisi del 2008. A fine 2019, il Corriere della sera – Economia scriveva che secondo i calcoli dell’Institute of International Finance il debito globale avrebbe toccato i 255 mila miliardi di dollari entro la fine dell’anno. Una cifra corrispondente al 330% del Pil mondiale. Venti anni fa non arrivava a 81 mila miliardi e nel 2009, al tempo della grande bolla del credito, era attorno ai 180 mila miliardi6.

Non deve quindi stupire che, in una tale situazione di fragilità economica, è bastata una piccola scintilla per incendiare l’intera prateria. Sars-CoV-2 è stata questa scintilla7.

Ora, è necessario evitare due conclusioni ugualmente errate. La prima è che, in questa situazione di crisi generalizzata, tutti perdono, nessuno vince. Il modo di produzione capitalistico è un modo di produzione diseguale, fondato sulla disuguaglianza strutturale. A fronte del fallimento di parte della borghesia (soprattutto la piccola e media), le crisi sono un’occasione per alcuni settori di capitale di fare un profitto addirittura maggiore rispetto ai tempi “normali”. Si pensi solo alle aziende sanitarie in questo periodo. È notizia di questi giorni che la concorrenza nella ricerca del vaccino contro questo coronavirus è spietata. Il sogno di arrivare primi al traguardo deve occupare le notti di tutti gli azionisti di tutte le case farmaceutiche mondiali.

Non solo loro però. Facebook, Google, tutte le Big Tech stanno facendo profitti immensi grazie alla quarantena e al distanziamento fisico. L’elenco potrebbe aumentare. È in fondo questa una dinamica propria di tutte le crisi. Nonostante dal 2008 al 2019 il mondo abbia pencolato tra la recessione e una pallida ripresa, «nel 2019 i 2.153 miliardari della Lista Forbes possedevano più ricchezza di 4,6 miliardi di persone. I 22 uomini più ricchi del mondo avevano più ricchezza di tutte le donne africane»8. Il patrimonio di Jeff Bezos, l’uomo più ricco del mondo, nel 2018 era di 112 miliardi di dollari: «appena l’1% di questa cifra equivale quasi all’intero budget sanitario dell’Etiopia, un Paese con 105 milioni di abitanti»9.

Più che un generale abbassamento delle condizioni di vita – questo è vero solo per le classi subalterne –, la crisi produce un acuirsi delle contraddizioni latenti e un inasprirsi dello scontro tra borghesie e quindi tra Stati. La guerra commerciale che gli USA stanno conducendo da anni in particolare contro la Cina, l’espansione in Medio Oriente della Russia, il controllo sempre più invadente sul mar Cinese Meridionale da parte della Cina, la lotta per strappare alla Russia gli alleati est-europei e inglobarli nella NATO e nell’Unione Europea… Questi e tanti altri episodi sono tutti tasselli di un conflitto intra-imperialistico dagli esiti imprevedibili. Esiti che, se si traducessero in un conflitto armato tra le maggiori potenze, sarebbero catastrofici.

E qui veniamo alla seconda illusione. Che la crisi, al pari dei Cavalieri dell’Apocalisse descritti nel Vangelo, porti al crollo definitivo del capitalismo. Quest’illusione, pericolosissima, aprirebbe le porte all’inazione, al fatalismo. Invece bisogna ribadire con forza che, non solo – come scriveva Michele Nobile in Un solo mondo, una sola salute, una sola umanità – «un sistema sociale come quello capitalistico, che è riuscito a superare, perfino a prosperare, sopra e oltre situazioni per esso catastrofiche come la Prima guerra mondiale, la Rivoluzione russa, l’influenza “spagnola”, la Grande depressione e la Seconda guerra mondiale, sicuramente non crollerà a causa del coronavirus Sars-CoV-2», ma in assenza di una forte organizzazione delle classi subalterne e di un progetto di cambiamento radicale dello status quo, le crisi non fanno che approfondire la marginalità, il disagio sociale, l’impoverimento. In una parola, la barbarie.

E torna allora in mente il motto scritto ormai un secolo fa da Rosa Luxemburg: contro la barbarie che si preannuncia, l’unica soluzione è il socialismo. Non ci resta che metterci al lavoro.


Note

1Il Sole24Ore, Usa, 22 milioni di disoccupati in un mese per la pandemia, 16 aprile 2020

2G. Carchedi, Dietro e oltre la crisi, Marxismo Critico, 24 maggio 2016

3Per altro secondo le previsioni fatte dagli stessi esponenti della borghesia, tra il 2020 e il 2021 si verificherà una nuova recessione.

5Il capitale finanziario si scompone infatti in capitale monetario e capitale di prestito.

6Corriere della sera – Economia, Wall Street e la bolla del superdebito, 25-11-2019

7Puntualizziamo che “piccola scintilla” non è da intendersi in senso assoluto ma solo in senso relativo. Senza pretendere di fare inutili, quanto ciniche, classifiche, ciò che vogliamo puntualizzare è che paragonate alle morti da inquinamento, guerre, epidemie che si sviluppano nei cosiddetti “Paesi terzi”, ecc. i morti da Covid-19 sono appunto “relativamente” pochi, tali apparentemente da non giustificare effetti a catena così grandi.

8Oxfam, Avere cura di noi, p. 6

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