Proseguiamo la pubblicazione degli Atti del Primo seminario dei Collettivi Ecosocialisti di Sinistra AnticapitalistaQui trovate l’introduzione, qui il primo capitolo, qui il secondo capitolo, qui il terzo capitolo, qui il quarto capitolo e di seguito il quinto capitolo.


di Raffaele De Blasio

La necessità di coniugare il programma ecosocialista con il metodo transitorio
deve essere qualcosa di imprescindibile per la nostra organizzazione. Anzi, il metodo transitorio è quasi un approdo (e un approccio) naturale per le singole battaglie ecosocialiste che conduciamo quotidianamente. In tema di rapporto uomo-natura chiarire che solo una riconversione in senso ecosocialista della produzione può garantire la sopravvivenza delle specie viventi e dell’ecosistema significa per noi proporre un modello di sviluppo di per sé già fuori dalle catene del regime capitalista. Così come non dobbiamo, a mio avviso, trascurare rivendicazioni transitorie più classiche come la riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario. Anzi, dobbiamo caratterizzare la nostra proposta rispetto agli altri soggetti politici e sindacali che la avanzano in questo momento, sommando all’obiettivo della riduzione della disoccupazione quello del miglioramento della qualità della vita delle masse (che dobbiamo rivendicare con forza) e della costruzione di un legame di identità e solidarietà tra i lavoratori. Venendo agli elementi dell’antispecismo e dell’antisessismo, si tratta di due battaglie, una di più recente interesse l’altra più classica per alcune correnti (in primis la nostra) del movimento operaio, di cui la nostra organizzazione deve sentirsi investita in pieno, senza remore e tentennamenti (e questo in particolar modo per quanto riguarda le battaglie di genere e per le libertà sessuali). Il tema dello sfruttamento animale (letto ovviamente in chiave materialistica) è quasi un nostro unicum nel panorama della sinistra di classe. Se ne sono occupati aree anarchiche, se ne è occupata la sinistra riformista, a volte perfino l’estrema destra, noi abbiamo il dovere di farlo come marxisti rivoluzionari (fornendo tra l’altro tutt’altro spessore alla questione). Anche per quanto riguarda l’oppressione delle donne, il nostro femminismo mantiene la propria lettura avanzata dei fenomeni connessi alle discriminazioni di genere, fornendo una corretta visione del rapporto tra sistema patriarcale e sistema capitalista, analizzandone le radici economiche e materiali ma non negando le conseguenze culturali e sovrastrutturali, garantendo spazi di discussione tra donne ma rifuggendo qualsiasi logica separatista nel protagonismo dei membri della nostra organizzazione sulle questioni di genere (tra donne e uomini, gay ed etero, cisgender e transgender), sostenendo (fuori da ogni sterile gerarchizzazione) la pari dignità di due questioni tra l’altro per noi difficilmente separabili, quella di classe e di quella di genere (nonché la giusta attenzione alle battaglie LGBT+, terreno in cui la Quarta Internazionale è stata storica pioniera). Tra l’altro impegnarci sul terreno dell’oppressione di genere ci offre altresì un’opportunità di differenziazione con i gruppi politici che si rifanno allo stalinismo, i quali o snobbano tale tipo di intervento o ci si accodano ipocritamente. In entrambi i casi prestando il fianco alle nostre legittime critiche nei confronti di tale tradizione. Nel primo caso non occorre spiegare il perché. Nel secondo caso credo dovremo essere sempre pronti e capaci di portare alla memoria di tutte e tutti cosa ha significato la controrivoluzione staliniana in questo campo. Una regressione totale di qualsiasi avanzamento si era prodotto dopo l’Ottobre: successivamente alla conquista del potere da parte della casta burocratica guidata da Stalin la famiglia patriarcale assume una nuova centralità, l’aborto verrà abolito, l’omosessualità bandita, e così via. La burocratizzazione staliniana ha significato anche da questo punto di vista il passaggio dalla rivoluzione alla conservazione.

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