Proseguiamo la pubblicazione degli Atti del Primo seminario dei Collettivi Ecosocialisti di Sinistra AnticapitalistaQui trovate l’introduzione, qui il primo capitolo, qui il secondo capitolo, qui il terzo capitolo, qui il quarto capitolo, qui il quinto capitolo e di seguito il sesto capitolo.


di Marco Maurizi

La rilevanza della questione animale per l’ecosocialismo è duplice, sia teorica che pratica. Da un lato, infatti, essa riguarda la necessità di una coerente definizione del materialismo. Dall’altro, essa concerne sia la natura contingente e tattica del rapporto tra marxismo e movimenti e quella, più importante e strategica, della definizione di una società liberata nei suoi rapporti con le altre specie. Vediamo infatti come sempre più preponderante appaia l’egemonia che la destra riesce ad imporre alla richiesta che emerge dalla società di un migliore trattamento degli animali nelle società industriali avanzate, un’egemonia che segue tre direttrici fondamentali: quella reazionaria (già presente nel nazismo) che associa il “rispetto” per la natura alla denuncia della “modernità”; quella borghese e moderata che oggi celebra il suo successo mediatico con iniziative furbe come il “movimento animalista” della Brambilla e, in modo carsico, ma non meno pericoloso, con l’emergere della cultura “vegana” e del “green capitalism”, tendenze che cercano di neutralizzare un portato sovversivo che c’è nel pensiero animalista e “antispecista” e di ricondurlo a pratiche accettabili dal sistema capitalistico. Solo nell’ambiente anarchico questo potenziale anti-sistema della questione animale ha trovato una sponda. Se il marxismo e l’eco-socialismo non vogliono trovarsi alla retroguardia rispetto ad una questione che sta mostrando sempre più la sua urgenza politica devono trovare una propria posizione chiara ed univoca che possa collocarsi tra le derive borghesi e l’immediatismo anarchico, che sono finora le uniche opzioni teoriche e politiche in campo. Per quanto riguarda il primo punto è essenziale sottolineare come l’ecosocialismo non possa fare sua una visione materialista della vita e dei rapporti tra i viventi che già Marx ed Engels rifiutano come “meccanicista” e “volgare”. L’ecosocialismo non può considerare la natura puramente materia in movimento rispetto alla quale l’Uomo si porrebbe in condizione di padrone e dominatore, iscrivendosi così de facto nella millenaria tradizione dello spiritualismo: la concezione che vede nella natura esclusivamente un oggetto inerte a disposizione della manipolazione umana, non solo giustifica ogni abuso delle società umane nei confronti delle altre specie, ma finisce per ridurre l’umano stesso a oggetto di manipolazione della tecnoscienza, escludendo che abbiano rilevanza per la comprensione della natura (e dunque dell’uomo) fattori relazionali come la libertà, la passione, il desiderio, la storia. Marx ed Engels sottolineavano come l’indagine naturalistica sarebbe stata un giorno unificata con l’indagine storica e parlavano perciò di “storia naturale”, in anticipo su Darwin. E proprio sulle orme di una concezione unitaria, continuista, dunque, darwiniana, del vivente è essenziale per l’ecosocialismo non già ridurre tanto l’uomo che l’animale ad un modello meccanicistico, bensì rinvenire già a livello della natura non umana gli elementi primordiali che caratterizzano l’umano in quanto essere che lotta per l’autodeterminazione ed è animato da un desiderio di libertà. Ciò che l’etologia più recente, smarcandosi sempre più dal paradigma cartesiano, sta rendendo ogni giorno più evidente. Ma nel momento in cui si riconosce che la natura è un concetto essenzialmente relazionale, non “cosalistico”, appare evidente che il rapporto che noi intratteniamo con gli altri viventi non è indifferente al modo in cui noi concepiamo e pratichiamo il rapporto rispetto a noi stessi come specie, come società e come individui. Il dominio che pratichiamo nei confronti del non-umano emerge chiaramente proprio in riferimento agli altri animali che sono, per così dire, la natura che si rivolge all’uomo con un “volto”, con dei “bisogni”, una natura “soggettiva”, intrinsecamente soggettiva, che solo arbitrariamente e per interesse possiamo ridurre a mero “oggetto”. Questo dominio che l’essere umano esercita con potenza crescente a partire dalle società di tipo stanziale e classista, è un dominio materiale e ideologico. Il suo aspetto materiale (che coincide con l’asservimento dei cicli biologici delle altre specie alle nostre esigenze riproduttive) implica una reificazione, un’oggettivazione della natura che è funzionale all’estrazione del surplus necessario alla riproduzione delle gerarchie sociali (in particolare, è fondamentale per i processi originari di accumulazione senza i quali non esisterebbero classi esentate dal lavoro materiale). A sua volta questo processo di dominio materiale si ripercuote a livello ideologico, poiché è proprio a partire dalla “distanza” e dalla “superiorità” oggettiva tra le società umane e le altre specie animali che viene ad elaborarsi un complesso sistema di pensiero marcato di spiritualismo, in cui l’umano è visto come il punto in cui la natura giunge a toccare il divino e, sostanzialmente, ad identificarvisi. Tale ideologia ha come fine non solo la giustificazione del dominio al di fuori della società umana, ma anche al suo interno. Ecco perché la negazione dell’animalità è il perno su cui si costituisce materialmente ed ideologicamente il sistema della società di classe. Essa consiste in una duplice negazione: dell’animale esterno (ovvero delle altre specie asservite alle necessità della riproduzione sociale umana) e dell’animale interno (nella misura in cui l’ideologia spiritualista reprime nell’uomo tutto ciò che dovrebbe portare traccia del rapporto rimosso con la natura che pur sempre siamo). Sfruttamento dell’animale, sfruttamento dell’uomo, repressione sessuale, gerarchizzazione dei rapporti sociali sono tutti elementi che concorrono a trasformare l’antropocentrismo occidentale nella macchina da guerra distruttiva che abbiamo oggi sotto gli occhi (dove è appena il caso di notare che l’anthropos di cui si parla è in realtà un’illusione ad uso e consumo delle classi dominanti, nel cui esclusivo interesse quella macchina è costruita e si perpetua). Rientrano in questa dinamica anche i processi di “animalizzazione” che caratterizzano da sempre gli atteggiamenti discriminatori e oppressivi delle società gerarchiche. Di volta in volta, a cadere nel cono d’ombra dell’animalità, sono i soggetti la cui oppressione è possibile proprio perché li si è espulsi dal cerchio dell’umano e dunque possono essere trattati “come animali”. Ciò che fa delle “donne”, dello “straniero”, del “bambino” e del “folle” altrettante maschere dell’animalità è la loro relativa distanza dal modello del maschio dotato di ragione e fallo, in grado di dominarsi perché a sua volta dominatore della natura che egli stesso è, ma che è perciò in grado di trascendere, divinizzandosi come non-natura, spirito. Contro tutto questo la prospettiva ecosocialista fa proprio l’assunto darwininiano di una continuità tra le specie che dovrebbe non solo eliminare ogni riferimento alla trascendenza nella definizione dell’umano ma anche evitare le secche di quel meccanicismo che è stato un formidabile strumento al servizio del capitale e che impedisce di vedere quanto la soggettività umana sia innervata biologicamente e storicamente con il suo altro animale. Si tratta quindi in primo luogo di restituire alle altre specie la soggettività che gli è stata arbitrariamente sottratta ma, per evitare ogni deriva “mistica” e “new age”, farlo nel solco di una concezione storico-dialettica dei rapporti sociali ed extra-sociali. Solo definendo come rapporto e non come essenza eterna la nostra posizione all’interno della natura possiamo pensare e praticare in modo nuovo le relazioni sociali interne ed esterne, poiché una rivoluzione eco-socialista non potrà che porsi il problema di quale sia il giusto rapporto che dovrà istituirsi tra le società umane e quelle nonumane. L’ideale a cui una pratica eco-socialista non può che ispirarsi è quella di un superamento della logica del dominio, dell’appropriazione cieca e violenta dell’atrui a proprio esclusivo interesse. Ovviamente, non è possibile prevedere quanto e come una società che si sia liberata del dominio dell’uomo sull’uomo sarà in grado di liberarsi anche del dominio dell’uomo sull’animale ma è chiaro che l’orizzonte dischiuso dalla riflessione eco-socialista non sarà quello di un “ritorno alla natura”, di un primitivismo che troppo spesso invece caratterizza l’ecologismo borghese e di movimento. Si tratta piuttosto di pensare, stabilire e praticare nuovi rapporti tra le specie, rapporti che aiuteranno a superare quell’alienazione dalla natura animale (interna ed esterna) che caratterizzano invece la storia delle civiltà. L’autocomprensione dell’uomo in quanto natura, infatti, non è possibile se non a partire da uno sfondo di pratiche inedite che solo un diverso rapporto con una natura non più reificata può inaugurare, pratiche in cui emergano potenzialità comunicative che la storia del dominio ha brutalmente cancellato, pratiche caratterizzate dal rispetto per l’altro, l’apertura al nuovo, la cura nei confronti della comune sofferenza e della mortalità. Contro ogni primitivismo, dunque, il ruolo che la scienza e la tecnologia liberate dal capitale potrebbero svolgere in una società di questo tipo risulta evidente. Si intravede dunque ciò che Marx sottolineava, come il comunismo sarà il superamento dell’alternativa tra “umanismo” e “naturalismo”, e ciò che Engels prediceva quando parlava di una società che avrebbe superato l’assurdo dualismo tra uomo e natura.

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